Quando il nemico indossa i panni di chi deve proteggerti

Ma allora dov’è che ci si va a raggomitolare, a urlare le accuse che ci fanno nodo in gola, a farsi medicare le ferite, anche se non sono sul corpo, a farsi vendicare del destino quando quello si mette in testa di essere solo un torto, a piangere quando la dignità ce l’hanno scorticata via a orrendi graffi? Dove ci si va a mettere quando la vita ci ha fatto male se quelli che dovrebbero proteggerci sono improvvisamente diventati quelli dai quali dobbiamo proteggerci? Ieri era di nuovo l’otto marzo, un giorno tirato per la giacca da tutti quelli a cui (politicamente) «serviva», anche stavolta. Ieri era di nuovo l’otto marzo e intanto, sempre ieri, la cronaca allungava la lista dei presunti casi di abusi sulle donne. «Casi»… orrendo ma inevitabile termine che rende la vittima un impalpabile «oggetto» da statistica e l’aggressore qualcosa di distante e un po’ irreale. Alla sconcertante carrellata dei giorni scorsi (i carabinieri, il vigile urbano, il primario, i militari), sono andati ad aggiungersi altri tre carabinieri, un professore e un infermiere. Tutti accusati (e al momento solo accusati) di abusi o di molestie sessuali su donne. Alcune pazienti, altre alunne, tutte fiduciose…
Il carabiniere, il medico, l’infermiere, il professore, il militare… Un elenco al quale manca solo il proprio padre. Per il resto, sembra il compendio del pronto intervento che qualsiasi donna snocciolerebbe nella propria testa confusa in caso di difficoltà. L’approdo sul quale penserebbe di poter cadere esausta, finalmente, dopo essere riuscita a correre via dal male. Qualsiasi faccia esso abbia. Perché rispetto al medico, al carabiniere, al professore... l’orco, nella nostra testa, è altrove, l’orco, nella nostra testa, è altro da loro.
E invece no. La cronaca degli ultimi giorni guasta tutto. Intossica qualcosa, rovina e sporca. La cronaca degli ultimi giorni ci dà il senso del rifiuto, dell’assenza di riparo, del paradosso. Ci risputa indietro al mittente che è la vita quando fa la cattiva. Per farci capire che siamo in mare aperto e che non ci sono coste, e che non servono le bracciate, e che ci serve ancora fiato anche se non lo abbiamo.
Se non sarà «stuprate dall’autorità», di certo sarà «autorità stuprate». Perché dalle accuse, talvolta si torna indietro ma dal sospetto mai. La cronaca degli ultimi giorni ci ha messo il disincanto, il terrore, il dubbio. Di non poter andare in questura a chiedere aiuto, di non poterci infatuare del nostro professore quarantenne, di non poterci spogliare davanti al nostro medico, di non poter eseguire, ciecamente, gli ordini del nostro superiore, di non poterci addormentare di un sonno inevitabile e indotto come l’anestesia. Non sappiamo oggi, che è il giorno dopo l’otto marzo, contro cosa andranno alla fine ad abbattersi tutte queste accuse, non sappiamo cosa ne sarà dell’infermiere, dei carabinieri, del professore, del primario... Però sappiamo cosa ci hanno già fatto oggi, che è il giorno dopo l’otto marzo. Ci hanno fatto il dispetto e l’orrore, di farci pensare di non avere riparo. Di poter sospettare di non averlo.

Da nessuno parte. Ieri, otto marzo, abbiamo capito di essere, ancora e sempre, carne viva sfregata contro il mondo. A proposito dell’otto marzo... A proposito di Yara... a proposito di tutte le vite rubate male come la sua.

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