Quando sulla Terra c’era un solo continente

Dall’ipotesi Pangea del 1915 alle verifiche sperimentali degli anni ’50

Franco Battaglia

Quando ci si ritrova a spiegare in pubblico come funziona la scienza o, più precisamente, il metodo scientifico, immancabilmente c'è qualcuno che si alza a lamentarsi della chiusura mentale degli scienziati. A sostegno delle proprie lamentele, costui avanza l'esempio paradigmatico del genio solitario, incompreso e ignorato dalla comunità scientifica, e riconosciuto solo molto tempo dopo la sua morte. Tipicamente, egli cita gli esempi del sistema eliocentrico di Galileo Galilei o della deriva dei continenti di Alfred Wegener. Senza mancare, subito dopo, di invitare a riflettere su quelle che potrebbero essere casi analoghi: elettrosmog, omeopatia, e «teorie» del genere, tanto rivoluzionarie quanto incomprese. Ma veramente le vicende di Galileo e Wegener testimoniano la «chiusura mentale» della comunità scientifica? Innanzitutto, cominciamo col dire che Galileo fu perseguitato non dalla comunità scientifica ma dalla Chiesa. La comunità di scienziati già da un secolo conosceva il problema che Galileo si preoccupò di rendere pubblico: le noie che egli patì dimostrano solo che dire la verità in pubblico è più peccaminoso che mentire. Probabilmente fu proprio per evitare quelle che noie che il chierico Copernico pubblicò le sue «Rivoluzioni delle orbite celesti» solo in punto di morte (non mancando di dedicarle al papa di allora, Paolo III).
Wegener fu un membro riconosciuto e rispettato della comunità scientifica tedesca. Egli viene citato a proposito del fatto che nel 1915, nella sua Origine dei continenti, propose la teoria della loro deriva, secondo cui nel passato (sino a 200 milioni d'anni fa) vi era un unico supercontinente - Pangea - che solo successivamente si separò in più parti che finirono con l'occupare l'attuale posizione e che - fatto importante - ancora si muovono. Innanzitutto, la teoria fu tutt'altro che ignorata. Solo che essa doveva superare due principali ostacoli per essere accettata: (1) nessuno, nemmeno Wegener, era in grado di proporre un meccanismo che farebbe muovere i continenti; (2) mancavano dati a sostegno della teoria.
Da parte sua, Wegener forniva almeno 4 indizi: (1) alcune coste di diversi continenti combaciano come le tessere di un puzzle; (2) formazioni geologiche americane sembrano essere la continuazione di formazioni geologiche in Africa; (3) la presenza di fossili di una stessa specie in entrambi i lati dell'Atlantico; (4) due determinazioni della distanza tra la Groenlandia e l'Europa indicavano che quella distanza era aumentata nel tempo.
Ma erano solo indizi che potevano essere spiegati anche ammettendo la staticità dei continenti: (1) I continenti potevano essersi divisi in un tempo in cui essi galleggiavano su un pianeta ancora fuso, ma essere poi rimasti immobili successivamente al raffreddamento del pianeta; (2) dato l'enorme numero di formazioni geologiche in entrambi i lati dell'Atlantico, può non sorprendere il fatto che alcune possano somigliarsi; (3) non si possono escludere corridoi di terre che univano i continenti e successivamente affondati nell'oceano; (4) gli errori di misura cui erano affette quelle due determinazioni di distanza tra Europa e Groenlandia erano superiori alla loro differenza, e quindi inutilizzabili come prova.
Fu solo dopo gli anni Cinquanta che, dalla direzione della magnetizzazione di rocce vulcaniche contenenti ferro, si capì che si sarebbe potuto risalire all'eventuale spostamento delle grandi masse continentali. Ad esempio, le rocce vulcaniche dell'America settentrionale e dell'Europa presentano orientazioni diverse della loro magnetizzazione; come se, quando quelle rocce si formarono, la Terra avesse avuto due poli nord contemporaneamente. Per allineare le magnetizzazioni, però, basta ruotare i due continenti proprio di quell'angolo che permette di riunirli in un'unica struttura.
La nuova teoria poi emersa dall'analisi di tutti i dati raccolti fornisce anche la meccanica del moto dei continenti e rappresenta l'attività del pianeta (terremoti, eruzioni vulcaniche, formazione delle montagne, ecc.) come la conseguenza di un'unica causa connessa con il movimento relativo di porzioni di crosta terrestre.

Questa nuova teoria, però, non è quella di Wegener, anche se senz'altro incorpora l'idea che i continenti si muovono. In definitiva, la comunità scientifica fece bene a non accettare le ipotesi di Wegener e ad attendere i dati necessari prima di incorporarli in una nuova teoria.

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