Durante il ventennio fascista era assolutamente vietato alla stampa per disposizione del regime riferire notizie riguardanti i suicidi: nel Belpaese mussoliniano tutti dovevano credere di essere felici.Non c’è sicuramente da rimpiangere la censura del tempo che fu,che pure evitava l’emulazione, ma di fronte al voyerismo e all’accanimento mediatico su alcuni casi di cronaca nera, che oggi finiscono per trasformare la realtà in reality,è più che lecito porsi almeno qualche domanda. Si può anche scoprire che lo sguardo del reality, la fregola di catturare un’immagine come souvenir, il filmatino ricordo da scaricare sul computer,è diventata un’abitudine che non si ferma più di fronte a nulla. Non si ferma più nemmeno di fronte alla morte e al rispetto per i morti.
Il tonfo sordo che ha attirato l’attenzione dei
passanti all’inizio di Corso Vittorio Emanuele, alle 9,40 di mattina,
era quello del corpo di un giovane suicida, gettatosi da una delle
terrazze del Duomo. Comprensibile il capannello di persone che hanno cercato di soccorrere la
vittima, l’attardarsi nell’attesa degli inutili soccorsi, il rimanere
di fronte al dramma di una morte in quel momento indecifrabile: un
incidente? un omicidio? un suicidio?
Ciò che fa rabbrividire è accaduto dopo. È scorgere tante persone intente a catturare un’immagine ricordo con telefonini e videocamere. Che cosa c’era da vedere e da filmare se non un corpo sfracellatosi sul selciato dopo un volo di quaranta metri? Che souvenir può mai rappresentare quel fotogramma? E da mostrare a chi? «C’ero anch’io quando quel disgraziato si è buttato giù dal tetto del Duomo, guarda, guarda qua, l’ho fatta col mio cellulare... E per favore, passami un altro pasticcino».
È la logica conseguenza - o la causa delle lunghe dirette che violano e sezionano i corpi delle tante Sara Scazzi della cronaca nera nostrana. Non c’è più pietà nemmeno per i morti. Siamo barbari. Barbari col telefonino.
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