Quell'"11" settembre umano, troppo umano

Giancarlo Marinelli è nato a Vicenza nel 1973. Scrittore, sceneggiatore e regista. "11" è il suo nuovo romanzo.

Quell'"11" settembre umano, troppo umano

Nel giugno del 2001, il Windows on the World, ristorante in cima alla Torre Nord del World Trade Center, assunse Konstantin Petrov come elettricista. Immigrato estone, che una casa non ce l'ha, Petrov è costretto al doppio lavoro: di giorno si occupa di un palazzo all'altro lato di Manhattan, di notte se ne sta inscatolato nel suo ufficetto alla torre, dove si sente così a casa che può dare sfogo alla passione della sua vita: fotografare. Insieme a Padre Mychal Judge, primo cadavere recuperato a Ground Zero; ad Alia Ghanem, madre di Osama Bin Laden; ad Harold Pinter, che il 10 settembre 2001 inveì contro gli Usa «stato farabutto» e persino a George Bush e a sua moglie Laura che si inseguono e sono inseguiti dai ricordi in una premonitrice serata insonne, Petrov è uno dei protagonisti dell'ultimo romanzo di Giancarlo Marinelli, 11 (La nave di Teseo, pagg. 320, euro 18). Ad ognuno di loro, Marinelli dedica una voce, un linguaggio, un segreto o anche più di uno, che poi son proprio questi segreti che li trasformano da personaggi qualsiasi a storie indimenticabili.

Li distinguiamo proprio grazie ai loro segreti, questi uomini e donne, uniti per sempre da quell'11, il numero - palindromo, fatale, universale - che segnò il settembre delle Torri Gemelle, vent'anni esatti fa. Marinelli, scrittore, regista, drammaturgo, è il migliore, per raccontarci questi segreti, perché delle Torri sa quasi tutto, visto che, oltre al romanzo, il progetto di scavo nella memoria contemporanea riguarda per lui anche un prossimo spettacolo teatrale. Così ha saputo produrre una babele di linguaggi, tutti credibili, tutti accattivanti, che fa sfilare e incrociare in una serratissima galleria, per farci sentire Petrov, Alia, Mychal come singolari, proprio perché liminali.

La storia di Petrov, tuttavia, è quella che ci permette l'immersione totale: fotografava, l'elettricista, forsennatamente, nelle sue notti solitarie. Foto che, raccolte in parte nel libro di Marinelli, ci permettono di seguire gli ultimi istanti prima della tragedia, di essere nel World Trade Center, sì, ma visto da dentro. Ed è struggimento, lo stesso che si prova a stringer tra le mani un fiore o un animale morenti. È questo spirito della fine il filo rosso - avvolto intorno alla sensazione di catastrofe imminente e inevitabile, che travolge le esistenze come fosse gorgo apocalittico e invece è lucido progetto umano - che tiene insieme le voci, la bacchetta che dirige la sinfonia corale composta da Marinelli. Poi si può parlare di ciò di cui parleranno giustamente tutti e cioè che un romanzo sull'11 settembre arriva in un momento in cui l'11 settembre proietta ombre da incubo sull'oggi più lunghe che mai. E in questo la letteratura fornisce il vero soccorso: mentre aspetta George W., Laura cammina sul tappeto blu che ogni volta le ricorda quando camminò dentro al mare di Amalfi; quando nei pozzi oscuri invoca suo figlio Osama, la vecchia Alia Ghanem viene svegliata dai mujaheddin che stappano lattine di Coca-Cola: ad ogni scatto della sua fotografica digitale che chiama «Baby Pat», Konstantin «Steppa» Petrov sogna di incontrare la bella Jasmine a Central Park e fare foto bellissime solo per lei, perché «Diventiamo ciechi solo quando chi ci ama smette di guardarci».

Non espone brutalmente grandi fatti, dietrologie, equilibri geopolitici ingombrando le storie degli individui-personaggio, Marinelli, ma inquina con commovente equilibrio ciò che sappiamo o crediamo di sapere di quella data funesta con dettagli più che umani, rendendo sacre le atroci conseguenze della banalità del male.

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