Coglie due volte nel segno Vittorio Feltri quando a proposito della cosiddetta rivolta di Rosarno Calabro dice che questa volta «hanno ragione i negri». «Hanno ragione» perché non dovrebbero entrare in Italia da clandestini, ma una volta entrati dovrebbero poter vivere e lavorare come esseri umani. Ma ha doppiamente ragione Feltri perché i nuovi schiavi vengono sfruttati da un’imprenditoria che di legale ha ben poco. E le tutele previste dal nostro generoso welfare a favore di lavoratori agricoli e braccianti vanno a beneficiare non chi ne avrebbe diritto ma una moltitudine di cittadini calabresi che evidentemente con l’agricoltura hanno poco a che fare. Dalle immagini in tv abbiamo visto che a lavorare i campi nella piana di Gioia Tauro e dintorni per 20-25 euro al giorno sono loro, «i negri». Che ovviamente non sanno nemmeno cosa siano sussidi di disoccupazione, indennità di malattia o maternità pagate dall’istituto di previdenza.
Qualche cifra. Dei 900mila dipendenti a tempo determinato delle aziende agricole in Italia, circa 700mila ricevono dall’Inps il sussidio di disoccupazione. E la stragrande maggioranza - un dato da anni stabile - sono concentrati in quattro regioni del Sud: Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. «Tanto - dicono all’Inps - al Sud le aziende non pagano i contributi previdenziali». Come si spiega? Da questo sistema trae linfa vitale anche la malavita infiltrata nel settore.
Dei 6 miliardi di contributi previdenziali non pagati dal 1999 al 2005, il 65% per cento è concentrato in queste quattro regioni. A tutti i costi il governo Prodi e in particolare l’allora ministro dell’Agricoltura Paolo Di Castro nel 2007 vollero avviare il «condono agricolo» che prevedeva la possibilità di mettersi in regola pagando circa il 22% del debito (il 30% se si optava per il pagamento rateale in 10 anni). «Tanto - appunto - al Sud sono pochi quelli che pagano».
Per avere diritto alle prestazioni Inps (disoccupazione, assegno per il nucleo familiare, malattia, maternità e successivamente la pensione) basta che il datore di lavoro, reale o fittizio, dichiari che il dipendente ha lavorato 51 giorni in un anno. Ma se, ad esempio, c’è stata l’alluvione di «giornate lavorate» ne bastano 5. Come si regge, il sistema? Con una forte presenza dei clan e con una complicità generale. Anche dei sindacati. Nel 2006 hanno incassato 40 milioni di trattenute sui sussidi di disoccupazione, 21 dei quali sono andati a Cgil, Cisl e Uil. Prendiamo le maternità (5mila euro lordi di sussidio a «lavoratrice agricola»): nonostante al Sud il tasso di natalità sia prossimo allo zero, la Previdenza ha retribuito in Calabria 2.678 «mamme-braccianti» nel 1999, 3.192 nel 2000, 3.702 nel 2001, 3.845 nel 2002 e così via. Sussidi e indennità sono andati a casalinghe al nono mese di gravidanza, detenuti in carcere, in qualche caso a mogli di farmacisti, a amici, parenti di capi-bastone e boss.
Un esempio viene da Rossano, provincia di Cosenza. Ne sa qualcosa la responsabile della sede Inps, Maria Giovanna Cassiano. All’inizio del 2009 prima ha inviato una lettera garbata ma ferma ai medici della zona per invitarli ad usare prudenza nel rilasciare certificati di malattia ai braccianti, dopo il vertiginoso aumento degli ultimi anni: 60mila nel 2001, 100mila nel 2008, 30mila nei primi quattro mesi del 2009. Da agosto vive sotto scorta. Ha denunciato una truffa da 15 milioni di euro e 323 persone: false le tre cooperative che avevano ingaggiato i «braccianti», inesistenti i campi da coltivare, finti i rapporti di lavoro.
pierangelo.maurizio@alice.it
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