Quell’editore-poeta che cantò la nascita della Padania

Per molti la morte di Archimede Bontempi è solo quella di un distinto e colto signore che si occupava di poesia, letteratura e di storia dell’Europa orientale. Per molte migliaia di vecchi leghisti la sua immagine è invece strettamente, affettuosamente, collegata alla cerimonia di proclamazione dell’indipendenza della Padania, il 15 settembre del 1996 a Venezia.
Con la sua aria da professore d’altri tempi, Bontempi aveva allora declamato dal palco una sorta di manifesto-dichiarazione d’amore per la sua terra, pieno di colore e affetto, che tutti ricordano come uno straordinario bouquet di dolcezza, dipinto con voce educata, fra tanti roboanti proclami. Bontempi è rimasto nell’immaginario collettivo leghista come l’uomo dei sentimenti patriottici, il portatore delle istanze del cuore a fianco a quelle del braccio e della testa. Un improbabile segno di cultura in mezzo al rinsecchito paesaggio dei partiti.
Della cultura aveva fatto il suo mestiere: consulente della Rizzoli e poi della Bompiani, era stato animatore della Editoriale Viscontea. La politica aveva reso omaggio alle sue qualità affidandogli la mansione di assessore alla cultura della città di Pavia e poi di inviato in cento missioni in Europa orientale in cui lui si muoveva con naturalezza: un ruolo che gli era stato riconosciuto sia a Bruxelles che dal ministero del Commercio estero. Si ricordano le ambascerie anche spericolate nei Paesi baltici e in Serbia che ha affrontato con la sua solita competenza coniugata a una incredibile dose di bonomia e ironia.


Negli ultimi tempi, in cui molti ruoli politici si confondono, alleanze e sodalizi cambiano, in cui anche molte connotazioni identitarie ritenute inossidabili sembrano sbiadire, Bontempi era stato messo in disparte e aveva con un po’ di amarezza rinunciato al ruolo di «contrabbandiere» della poesia nella politica per cui molti lo ricordano e rimpiangono.

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