Per non avere niente a che fare. Nemmeno da morto. Quasi che una bara, con dentro un uomo che ha fatto della causa palestinese la sua missione di vita, rischi di venire contaminata dal solo passaggio in territorio israeliano. Cè qualcosa che stona, riguardo alla tragica fine di Vittorio Arrigoni rapito e ucciso a Gaza City da estremisti salafiti, anche e soprattutto sul «dopo» quella sua fine assurda.
Cè un discutibile rituale che sembra inzuppato di un odio atavico contro una parte. E quella «parte» è Israele, che con Vik, come lo chiamavano gli amici palestinesi, che dal 2008 aveva scelto Gaza come sua vera patria, non deve e non può aver nulla a che fare. Non deve avere nemmeno il privilegio o la possibilità di inchinarsi al passaggio della sua bara. Eppure la pietà non ha, come non dovrebbe avere mai, colore né bandiere. Ma tantè. La richiesta alla Farnesina fatta da mamma Egidia Beretta Arrigoni, il sindaco di Bulciago, è stata esplicita quanto univoca: la bara del suo Vittorio dovrà passare tramite il valico egiziano di Rafah, per poi proseguire verso lItalia. E per svolgere quelle formalità che la burocrazia impone, un legale italiano è partito ieri per il Cairo per conto della famiglia Arrigoni. Non ha fatto mistero di questa scelta la rocciosa sindachessa del paesino lecchese, dal dna comunista, che ha sempre camminato sulla stessa strada del figlio Vittorio. «Vogliamo che la salma di Vittorio passi per lEgitto per rispetto alla sua memoria e alla sua battaglia contro le politiche israeliane nei territori palestinesi». Battaglia che gli costò anche provvedimenti di fermo da parte delle autorità israeliane e brevi periodi di detenzione. Ma nel post mortem del volontario brianzolo cè anche un altro «dettaglio» che stona. Stona quel tentativo inutile e un po penoso di accreditare la strampalata tesi che dietro alla sua uccisione ci sia stato chissà quale complotto sionista-imperalista, quando invece cè soltanto lazione barbara di un gruppo di barbari assassini. Uno dei gruppi ultraintegralisti salafiti della Striscia di Gaza ha infatti confermato ieri allagenzia Ansa la responsabilità di una loro cellula «fuori controllo». Il portavoce, che parlava a nome di al-Tawhid wal-Jihad, una della fazioni salafite più note di Gaza, ispirate ad Al Qaida, ha negato che lazione sia stata ordinata dai vertici del gruppo. «È stata una iniziativa incomprensibile, compiuta da una cellula impazzita, che contrasta con linsegnamento dellIslam e i nostri interessi», ha precisato. Confermando anche la notizia, le milizie di Hamas hanno arrestato «almeno tre militanti» salafiti nellambito di indagini che proseguono con controlli e retate a tappeto. E, a proposito di ricostruzioni fantasiose dietro la morte di Vittorio Arrigoni, occorre dire che alcuni esponenti di Hamas (che governa la Striscia) non hanno mancato di richiamarsi in queste ore alla retorica anti-israeliana, accusando gli assassini di «fare il gioco del nemico sionista». Resta il fatto che, complessivamente, sono già tre le persone arrestate a Gaza accusate a vario titolo di un coinvolgimento diretto nella sconcertante esecuzione di giovedì: due erano ancora in organico nei servizi di sicurezza di Hamas. Tra loro lesecutore materiale del delitto, che ha già confessato di aver strangolato Arrigoni con le sue mani, con un cavo metallico.
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