Quella cecità faziosa contro De Chirico e i futuristi «fascisti»

Federico Zeri, in un articolo del 1982, raccolto in L’inchiostro variopinto, ricordò ciò che aveva detto Alberto Giacometti della monografia a lui dedicata da Palma Bucarelli: «Prima mi sono infuriato, poi crepavo dal ridere». In un altro articolo, Zeri scriveva testualmente: «Una semplice visita alle tristissime sale della Galleria è sufficiente a provare che per decenni gli acquisti sono stati effettuati senza un piano preciso, che non fosse quello discriminante, dal quale sono state privilegiate le tendenze non figurative dell’arte contemporanea (secondo principi di cui, a detta della voce comune, l’ispiratore sarebbe Giulio Carlo Argan)». E concludeva: «Ci si chiede perché mai, in una situazione del genere, l’odierna pensionata Bucarelli, invece di acquistare dipinti e sculture italiani, abbia speso somme non indifferenti per quadri stranieri, quasi tutti di livello secondario».
Giorgio De Chirico, nelle Memorie della mia vita, scriveva che la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, sotto la direzione di Palma Bucarelli, era definita da molti «il Museo degli Orrori» e riferendosi alla mostra dedicata ai pittori dell’Ottocento, scelti fra gli artisti più modesti, si domandava: «Dove sono le opere di Giacinto Gigante, di Palizzi, di Giovanni Carnovali, di Fontanesi, di Segantini, di Previati, di Vincenzo Gemito? Alla perfida organizzatrice di quella mostra, signora Palma Bucarelli, non conveniva esporre le opere di quegli artisti poiché il confronto di tali opere con le croste dei modernisti poteva riuscire pericoloso».
I giudizi del più geniale artista del Novecento e di un critico autorevole e onesto come Zeri basterebbero da soli a chiudere la partita sulla Bucarelli, donna peraltro affascinante, ninfa Egeria dei salotti romani, ben introdotta nei santuari della politica, ma pesantemente discussa come direttrice della Galleria Nazionale. Perfino i successori scrissero in maniera critica della sua gestione. Nel catalogo delle Collezioni del XX secolo. Il primo Novecento, edito nel 1987, Eraldo Gaudioso lamentava «la quasi assoluta carenza di manutenzione, protratta per anni e il mancato adeguamento degli impianti di sicurezza», che furono causa del collasso della Galleria e della sua chiusura per diverso tempo.
Quanto alla disastrosa politica degli acquisti della Bucarelli, Gaudioso, parlando delle nuove acquisizioni di De Chirico degli anni Ottanta, scriveva: «Rimane un vuoto preoccupante dal 1902 al 1922, che sarebbe stato certamente più facile riempire venti o trenta anni fa» quando i prezzi dei quadri di De Chirico erano ancora abbordabili. De Chirico sottolineò che Palma guardava i suoi quadri «con l’espressione fredda, distante e disgustata, simile all’espressione che avrebbe una cuoca d’alto bordo, recatasi a far la spesa per un pranzo molto importante e che stesse guardando davanti a una bancarella alcune rape mezze marce».
Lo stesso atteggiamento la Bucarelli e il suo mentore Giulio Carlo Argan ebbero nei confronti dei futuristi, forse anche perché la maggioranza di essi era stata fascista. Come, d’altra parte erano stati la stessa Palma e Argan, ma loro, come sottolineava sempre Zeri, erano passati abilmente dall’orbace al fazzoletto rosso.

Bruno Mantura, nel catalogo già citato, poteva così lamentare che la Galleria Nazionale d’Arte Moderna non aveva «nessun capolavoro di Boccioni, Balla, Carrà, Severini», che ai tempi della Bucarelli erano sul mercato a prezzi modesti o (nel caso di Balla) addirittura stracciati. La signora Palma preferiva acquistare Fautrier e perfino l’arte cinetica, mentre i grandi musei stranieri facevano incetta dei capolavori dei futuristi e della pittura metafisica.

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