Quelle 250 pagine che umiliano le Camere

Egidio Sterpa

Il governo alla Camera ha portato a casa la fiducia sulla Finanziaria, ma dire che esso goda di altrettanta fiducia nel Paese è davvero impossibile. Ne sono dimostrazione il modo in cui si è arrivati al voto e la manifestazione dell’estrema sinistra (di governo, è il caso di dire) svoltasi sabato a Roma, che è stata una vera vergogna, tanto da indignarsene il Quirinale. Sono stati offesi i caduti di Nassirya e i valori che essi rappresentano.
L’onorevole Prodi continua a dichiarare la propria soddisfazione - e lo fa con una ostentazione assai fuori luogo - per il successo ottenuto in questo primo voto parlamentare. Se ne gloria in maniera esagerata, in verità: «Abbiamo cambiato rotta all’Italia», dice, lanciando accuse non facilmente dimostrabili al governo Berlusconi, imputandogli addirittura di aver lasciato «un cocktail micidiale di spese».
Diciamo le cose come stanno: la Finanziaria è stata approvata grazie ad un maxiemendamento di ben 826 commi, contenuti in oltre 250 pagine, che nessuno ha avuto la possibilità di leggere e vagliare. Quel che è avvenuto alla Camera nel giro di neppure ventiquattro ore non ha precedenti nella storia parlamentare. L’aula di Montecitorio ha approvato un testo farraginoso e lunghissimo che, a norma di regolamento, avrebbe dovuto subire l’istruttoria legislativa della commissione Bilancio. Così non è stato e perciò siamo in presenza di una irregolarità che rasenta la scorrettezza.
È incredibile come ciò sia potuto accadere. Ancora più incredibile che nessuno l’abbia rilevato con la necessaria severità. Una democrazia parlamentare vive di regole che non possono essere travolte: se accade è l’istituzione che ne viene scossa e umiliata. Francamente, ci saremmo aspettati che il presidente della Camera avesse dedicato più attenzione e non tollerasse una simile lacerazione normativa. Perdinci, un emendamento così voluminoso non meritava almeno una procedura meno sbrigativa, più attenta e vigile?
Il presidente Bertinotti ha certamente avvertito l’anomalia, tanto che ha chiamato in causa «l’inadeguatezza del regolamento parlamentare», giungendo fino a dichiarare «non più procrastinabile un intervento per riordinare le procedure parlamentari e la sessione di bilancio». Già, però la procedura seguita ha finito col non tenere conto delle preoccupazioni insite nelle giuste osservazioni. In sostanza, si è messo in campo lo scrupolo istituzionale, ma lo si è subito accantonato e, diciamolo, anche mortificato.
È molto probabile che l’intervento del Quirinale su una simile delicata questione, sia stato suggerito della sollecitudine di dare conforto alla ricerca del presidente della Camera di trovare una via meno tortuosa per la Finanziaria. Fatto si è però che alla Camera questa sollecitudine quirinalizia è stata accolta come un invito a procedere rapidamente, superando qualunque dubbio, il che francamente è stata quanto meno leggerezza.
Era proprio impossibile dedicare ad una sì delicata questione qualche ulteriore riflessione? Nessun aiuto dal governo è venuto in questo senso, ovviamente. Il ministro dei Rapporti col Parlamento, Chiti, si è limitato a dire, e pour cause, che «tanta lunghezza di tempo per l’approvazione della Finanziaria è cosa non normale, non c’è in nessun Paese del mondo».
Insomma, occorreva a tutti i costi tagliar corto badando a non concedere tempo all’opposizione, Quanto alla riforma della Finanziaria e della sessione di bilancio, se ne riparlerà magari alle calende greche.
E fermiamoci qui anche con i nostri scrupoli.

Non senza porci, però, una domanda: che accadrà al Senato? Si ripeterà l’anomalia di un emendamento-mostro senza la dovuta istruttoria legislativa e per di più con l’aggiramento dell’articolo 72 della Costituzione, che prevede che la legge venga approvata articolo per articolo?

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