Quelle cattive liberalizzazioni che colpiscono soltanto i deboli

Può un liberale non essere d’accordo sulle liberalizzazioni? Un liberale che si è battuto, come il sottoscritto, per far approvare nel 1992 la prima legge per le privatizzazioni, alla quale si oppose la sinistra.
È lapalissiano che un liberale non possa che essere favorevole alle liberalizzazioni. Ma gli è altrettanto doveroso verificare se in questa famosa «lenzuolata» ci siano vere ed efficaci liberalizzazioni. Non siamo soli ad avere qualche dubbio. Un economista della Bocconi, Tito Boeri che di destra non è di certo, su La Stampa di Torino ha scritto: sono misure «più simboliche che efficaci».
Ragioniamoci su. Liberalizzare significa «smonopolizzare» innanzitutto, cioè neutralizzare poteri che godono di un diritto da cui altri sono esclusi, il che è ovviamente illiberale. Siamo certi che i provvedimenti approvati giovedì scorso dal Consiglio dei ministri siano autentiche liberalizzazioni?
È un tema che è bene tenere fuori dalle prevenzioni politiche. Per esempio, non negheremo che un provvedimento liberale c’è: quello che annulla tutto il burocratismo per mettere su un’impresa. Da domani basterà una comunicazione al registro delle imprese. Ma gli altri provvedimenti? Non siamo solo noi, ripeto, ad avere dubbi. Ci sono economisti, giuristi, politici di ambo le parti in competizione. Non mancano sospetti che questa «lenzuolata» sia diretta contro settori che non rientrano negli interessi elettorali del centrosinistra. Decidere l’orario dei barbieri, aprire nuove edicole per giornali, concedere pompe di benzina ai supermercati significa davvero liberalizzare? Riflettiamoci. Si vanno a colpire categorie del ceto medio, un settore sociale già penalizzato dal costo della vita e che non vive certo nell’opulenza.
Insomma, finora queste cosiddette liberalizzazioni toccano categorie deboli e non poteri forti. Si dice: ma si creeranno nuovi posti di lavoro (barbieri, benzinai, edicolanti, tassisti, eccetera) e per i cittadini ci sarà una riduzione di costi. È dubbio che sia così. Verosimilmente il risultato più sicuro sarà che queste categorie verranno impoverite.
A questo proposito c’è anche chi avanza il sospetto che noi registriamo per dovere di cronaca, che allargando il mercato di certi settori si favoriscano le grandi reti di distribuzione, che qualche rapporto, almeno alcune, con la sinistra ce l’hanno. Per esempio, perché alla categoria colpita non si permette, a titolo di compensazione, di vendere merci che hanno i supermercati?
C’è inoltre una osservazione di fondo che non può mancare, e che per un liberale è doveroso considerare: si avverte aria di dirigismo in questo modo di procedere. Uno statalismo mascherato. Vale a dire: si pretende di dirigere la vita dei cittadini, di condizionarla. Dov’è il liberalismo qui? Si procede piuttosto per imposizioni e divieti. Liberalizzare con le inibizioni è palese contraddizione.
Non c’è retorica, tanto meno demagogia, in queste nostre inevitabili osservazioni. Quali lacci e lacciuoli vengono recisi? Si colpiscono settori marginali, si penalizzano categorie deboli, non le si porta certo a vivere meglio. Non illudiamoci, non ne guadagnerà il mercato. Prodi va declamando che il Paese cambierà volto. Sì, c’è il rischio che lo cambi in peggio.
In attesa di vedere come finirà questa strana storia, facciamo un’ultima considerazione. Ci si aspettava, stando almeno alle promesse di Rutelli, che qualche «santuario» venisse toccato.

Per esempio che, secondo le intenzioni espresse dal ministro Lanzillotta, si procedesse alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali. Che fine hanno fatto questi propositi? Sono finiti come il coraggio di don Abbondio?

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