QUELLE FAMIGLIE CHE SPINGONO LE FIGLIE AD ARCORE

Lo squallore delle intercettazioni. Genitori e fratelli fanno il tifo perché le ragazze "portino qualcosa a casa"

QUELLE FAMIGLIE 
CHE SPINGONO 
LE FIGLIE AD ARCORE

C’è in tutte un misto di ap­prensione perché sono riuscite a «portare a casa» qualcosa ma non proprio tutto. Molto, ma non esattamente ciò che spera­vano. «Subito dopo» (qualun­que sia stato «il prima»)si precipi­tano a telefonare alla mamma, al papà, al fratello, come quando si esce da scuola dopo aver letto gli esiti degli esami sui cartelloni ap­pesi nell’atrio. O come quando si termina un colloquio di lavoro, o come quando, più banalmente, si cerca conforto. Telefonate fret­tolose dentro alle quali sbava sempre un po’ di disappunto (perché «mi ha dato 5 invece di 7...perché a quell’altra ha regala­to il braccialetto d’oro e a me niente...»)assieme a una fastidio­sa, malriposta presunzione di di­mestichezza. Nel tono di questo esercito di sgallettate col corpo più sviluppato dello spirito e di molti dei loro famigliari, dall’al­tra parte del telefonino rovente, c’è una convinzione di control­lo. Come se parlando del pre­mier in realtà sottintendessero «per noi lui è quello che è. Per gli altri è soltanto il presidente del Consiglio». Fa orrore la complicità di certi padri, di certi fratelli, di certe ma­dri. Fa orrore questo agghiac­ciante «sostegno famigliare», questa ingordigia piccolo bor­ghese, offesa dalle abbondanze altrui e disposta a tutto pur di col­mare il solco segnato dall’ingiu­stizia. Nelle intercettazioni e nei commenti sul caso Papi, il vero caso sono i padri. «Mia figlia la fi­danzata del premier? Magari» sogghignava al telefono con un cronista Gino Bonasia, il padre di quella Roberta che per qual­che ora è stata in cima alla lista del toto-fidanzata di Silvio Berlu­sconi. Per non parlare del fratel­lo di Roberta che sempre al tele­fono ( ormai intercettato) esorta­va la sorella: «Amò, ci risolve tan­ti problemi a tutti: a mamma a te a me...». O del padre di un’altra, la ventiquattrenne Barbara Fag­gioli che redarguiva e spronava la figlia «Basta con ’ste str..., il la­voro verrà. Come ha aiutato le al­tre aiuterà pure te. Sei da 17 anni appresso, le vuoi realmente be­ne, ti sei vista passare davanti e questa e l’altra e Giada,Isabella e Cristina ha detto... Ma sveglia­ti! ». O della madre di Iris che subi­to­dopo una cena ad Arcore si in­formava «Cosa ti ha dato, cin­que? ». O dal papà di quell’altra ancora,T.M.,che è uno che sa co­me va il mondo e allora al telefo­no, dalla figlia, voleva i particola­ri: «Tipo mani in mezzo alle gam­be, robe così?» chiedeva a lei infa­stidita dalla scarsa privacy della serata. Per poi concludere navi­gato: «Davanti a quella cosa lì gli uomini sono tutti uguali». Già. Come davanti al premier lo sono molti padri, evidentemente. An­siosi di capitalizzare quelle figlie dalle gambe sode come gomme di bicicletta,di«avere»finalmen­te. Di riempirsi i carrelli nei cen­tri commerciali, di far vedere ai vicini la parabola nuova, di mo­strare agli altri come sono capaci di mandare in giro vestite le «loro signore»,di come adesso sono in grado di assecondare i loro gusti esigenti ma grossolani. Grazie a quelle figlie che sono un patrimo­nio, che conoscono addirittura «il Silvio», che addirittura posso­no andare ad Arcore, anche se è meglio non dirlo in giro, vabbè magari solo al Pino e alla Graziel­la, che sono amici. Non vedeva­n­o l’ora che crescessero e si faces­sero «strada», via, sciò, fuori: per il mondo. Con quelle loro nuovis­sime carte d’identità infilate nei portafogli rosa di Hello Kitty per­ché chi diventa grande in fretta resta sempre impigliato in qual­cosa.

Non vedevano l’ora che cre­scessero mica perché facessero le donne di servizio, quelle che ri­muovono dalle case i rifiuti della vita, no. Volevano che nella vita ci stessero in mezzo. E adesso in mezzo ci sono. Con tutti i rifiuti.

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