Quelle istituzioni che l’Unione vuole stravolgere

Fabrizio Cicchitto *

In genere sulla lunghezza di un documento politico o programmatico si riflette anche la facilità o la difficoltà dell’intesa tra le forze politiche che lo concordano. Se l’intesa è facile il documento sarà di poche pagine e, nel caso della definizione di un programma, si fonderà su proposte precise definite in termini numerici. Non a caso il documento del centrosinistra di sintetico ha solo il titolo (quello retorico di Per il bene dell’Italia), ma è costituito da 281 pagine nelle quali gli unici numeri, come ha detto Tremonti, sono quelli delle pagine. Quindi un documento confuso, generico, pasticciato, volutamente prolisso per consentire di leggervi, come è avvenuto nel caso Tav, tutto e il contrario di tutto.
La ragione politica di queste caratteristiche del programma del centrosinistra è molto precisa: esso deve raccogliere la convergenza di uno schieramento politico che va da Mastella a Malabarba e a Grassi, cioè da un democristiano meridionale alla minoranza trotzkista e paleocomunista di Rifondazione comunista (una minoranza del 41 per cento) che presumibilmente, a parte Ferrando, già rimasto sul campo per aver detto con franchezza quello che pensa, eleggerà comunque dei parlamentari. Tuttavia in 280 pagine qualche proposta precisa c’è e alcune di quelle che abbiamo trovato nella parte istituzionale e in quella riguardante la giustizia fanno semplicemente rabbrividire. Al fondo c’è un autentico stravolgimento istituzionale. Il documento, di fatto, ipotizza uno svuotamento del Parlamento e dello stesso governo. Da un lato esso porta alle estreme conseguenze una tendenza già in atto, che purtroppo finora ha coinvolto entrambi gli schieramenti, che è quella di delegare ad agenzie «tecniche» le cosiddette Authorities, compiti di indirizzo e di controllo.
Orbene questa tendenza già in atto viene portata alle estreme conseguenze. Il programma del centrosinistra propone una governance fondata su un reticolo di una ventina di Authorities sulle più varie materie che avvilupperebbe la nostra economia, ma anche altri settori della vita nazionale, in una rete a maglie strette di poteri esterni al Parlamento: si profilerebbe una dittatura della tecnocrazia, un regime insopportabile anche perché il lavoro, anzi il lavorio delle Authorities, è assai poco trasparente: quelle esistenti sono spesso ispirate da un’eminenza grigia, collocata presso il Quirinale (ma non si tratta del presidente della Repubblica).
Ma c’è di peggio. Il programma propone di attribuire alla Corte costituzionale addirittura «la potestà di decidere, in ultima istanza, sulle controversie relative alla elezione di membri del governo». Si tratta di una proposta gravissima: il Parlamento perderebbe addirittura la sovranità su se stesso e questa menomazione sarebbe così profonda al punto di trasferire ad un altro organo costituzionale il potere di interferire sulla sua composizione e si salderebbe con l’attuale tendenza della magistratura di ricorrere sistematicamente alla Corte costituzionale per sindacare le leggi e anche nei processi riguardanti parlamentari compresi quelli riguardanti la loro libertà di parola.
Viene enfatizzato al massimo il potere del Csm sia nei confronti del ministro di Grazia e giustizia, ridotto allo stato di un passacarte, sia nei confronti di tutto il mondo giudiziario. Si profila una sorta di «dittatura» del Csm nella gestione della giustizia che arriva alle forme grottesche di ipotizzare addirittura il suo «dominio» culturale (nel senso gramsciano del termine, contrapposto a quello più morbido di egemonia).
In sostanza il programma del centrosinistra è per larga parte confuso e pasticciato.

Laddove è chiaro prospetta proposte tecnocratiche, autoritarie, liberticide. La cultura che lo ispira è di tipo organicista, il punto d’incontro fra la parte peggiore della cultura cattolica e di quella paleo-postcomunista.
* vicecoordinatore nazionale Forza Italia

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