Quelle minorenni usate dalla sinistra in corteo E i bimbi costretti a disegnare Silvio in carcere

In piazza mamme che indottrinavano le figlie: "Quando uno sbaglia se ne deve andare". E ai tanti slogan anti Berlusconi si aggiungono quelli che inneggiano a Boccassini e Fiorillo: le pm milanesi eroine del popolo rosa

Quelle minorenni usate dalla sinistra in corteo 
E i bimbi costretti a disegnare Silvio in carcere

Roma - Sono le stesse che aspettano a bat­tezzare i figli perché «quando saranno grandi, avranno loro il diritto di scegliersi la propria religione». Però poi, gli stessi fi­gli, se li portano in piazza. Come dire: Cri­sto non glielo impongo, ma «l’anticristo» glielo indico. Erano tutti stupiti dal nume­ro di uomini presenti alla manifestazione per la dignità della donna ieri, in piazza del Popolo. A noi degli uomini che sodaliz­zavano con le femmine, del «femmini­sto » insidioso declinato in mille modi, ha stupito solo la cafonaggine: ma come? Vie­ni a sostenere la mia causa e mi pianti il gomito nella schiena per passare, mi pas­seggi sulle scarpe, mi scansi di peso e man­co chiedi scusa? Ma si vedeva che erano di cattivo umore ieri i compagni delle compagne: rivolti al palco avevano un po’ lo sguardo che hanno le mucche quando fissano un treno, con la domenica sotto ostaggio del dovere, il palloncino dell’ Uni­tà in una mano, la creatura «ammollata» dalla mamma emancipata nell’altra, gli slogan urlati nelle orecchie che li rica­tupultava indietro di almeno quarant’an­ni con quella storia dell’utero «che però, intanto, era talmente suo che adesso il bambino ce l’ho in braccio io». E c’era chi, per fare il partecipe, si era perfino tirato dietro la vecchia bandiera della pace. Che ieri, però, poteva solo far venire in mente la pace dei sensi.

Ma comunque, appunto: i bambini. A noi hanno stupito di più quelli. C’erano tanti di quegli «innocenti» in quella piaz­za, che in barba allo spirito della giornata, a un certo punto ci siamo scoperte a pen­­sare: ma perché Adamo non è morto con tutte le sue costole in corpo? Passeggini rosa tappezzati di cartelli «Io (la mamma, ndr ) e Sofia (la bimba) non siamo in vendi­ta », adesivi e spillette affrancati ai marsu­pi, palloncini «griffati sinistra» legati alle culle e dentro minuscoli ignari frastornati dalla folla, corredati, in qualche caso, da cani altrettanto ignari e altrettanto tappez­zati di gadget. E le mamme lì. Distratte ma fondamentali, invasate ma soddisfatte per l’Italia che stavano ridisegnando per le proprie bambine, che non cresceranno certo come quelle signorine ingorde che vogliono «e la borsa e la vita», che saranno un giorno donne in verticale, che saranno solo le nipoti del loro zio legittimo. Ieri l’hanno fatto capire subito alle lorofiglio­lette come va il mondo, per niente solleti­cate dal sospetto che forse, con un nulla di fatto, avrebbero fatto la cosa migliore. Per­ché certe cose, soprattutto ai figli, si tra­smettono meglio col silenzio.

E invece no. Meglio prendere di mira il cattivo esempio, meglio prendere in affit­to­le cause per farsi intendere dalle genera­zioni che verranno. Come quella mam­ma che si trascinava dietro la bimbetta spiegandole paziente ma ferma: «Perché quando uno sbaglia, se ne deve andare»; «deve andare dove mamma?»... E meno male che la risposta se l’è inghiottita la fol­la... E poi via, al banchetto allestito dal­l’ Unità che alla dignità femminile ha dato anche un peso, o meglio un prezzo: 5 euro per la borsetta di tessuto ecologico con dentro una copia del quotidiano diretto da Concita e gli adesivi con i motti rosa.

La medicina degli slogan, la vertigine del vuoto sotto le parole. Però i palloncini l’ Unità li distribuiva gratis, e c’era un pa­pà che era tutto contento e l’ha chiesto vio­la per la sua bambina «perché viola, di questi tempi,va bene»e«dì grazie al signo­re... » e poi di corsa dietro al gazebo dove c’era un posto pensato apposta per i più piccini. Un posto di quelli che non posso­no mancare quando si fa festa. Un posto con grandi cartoncini bianchi sistemati per terra e barattoli di colori con i quali di­segnare, tutti intorno. E cosa avevano vo­glia di disegnare quelle creature di quat­tro, cinque,sette,dieci anni,in un’assola­ta domenica di febbraio in un giorno di pacchia con le loro mamme e i loro papà se non la faccia del premier dietro le sbar­re? Intanto le sorelle adolescenti giravano tra la folla, deliziosamente acerbe nelle lo­ro minigonne, terribilmente consapevoli nelle loro t-shirt: «Non puttanate, non più madonne, semplicemente donne», «Nonno sporcaccione»,«Berlusca,Muba­rak ti aspetta a Sharm-El-Sheik», «Berlu­sconi di-Minetti-ti»... E insomma erano già talmente puntute da non far certo veni­re in mente le giovani che si buttano via, semmai le giovani che ti buttano via. E c’erano le mamme delle adolescentipie­ne di orgoglio e c’erano le nonne delle adolescenti piene di orgoglio. Tre genera­zioni in piazza a bloccare l’emorragia del proprio io. Perché quella di ieri era «una grande giornata»ma,per carità,«non una giornata politica».

No macché, infatti, era solo la catapulta della loro collera. Una giornata di rabbia rassodata. Dopo il Via­gra del «Se non ora, quando?», verso la fi­ne c’è stato il liberatorio «Meglio tardi che mai». Ecco, e invece no. Date retta: me­glio mai che tardi.

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