Quelle parole di troppo della mamma di Sara

«Per mia figlia non è stato così, per Sara non sono venuti i cani dalla Svizzera e nessuno ha fatto quello che noi chiedevamo per le ricerche». Comincia con queste sconfortanti osservazioni l'intervista di Concetta Serrano Spagnolo, la madre di Sara Scazzi, al Corriere del Mezzogiorno. È lo sfogo, comprensibile, in parte persino condivisibile, di una madre, di un'altra madre, che ha vissuto il dramma della scomparsa inspiegabile di una figlia, finita però come tutti tristemente sappiamo. Una madre cui ora, a poche settimane da quell'incubo, da quel terribile epilogo, tocca (...)
(...) pure il supplizio di guardare da spettatrice, con gli occhi ancora gonfi di lacrime, una vicenda che sembra la fotocopia di quella che l'ha trascinata in questi mesi nel baratro del dolore e della disperazione. Avetrana, Italia. Ma Sud Italia. Brembate Sopra, Italia. Ma Nord Italia.
È il solito scontro fra poveri e ricchi? Che questa volta evidenzia nella simile, terribile sceneggiatura, ancor più stridenti storture del tipo: i disagiati, i reietti e gli abbandonati da una parte, e dall'altra, invece gli attrezzati, i considerati e i coccolati?
All'intervistatore che le chiede che cosa trova di diverso, tra mille analogie, mamma Concetta risponde dunque senza esitazioni: «Trovo di diverso le ricerche. Per mia figlia hanno utilizzato solo sei o sette cani che non erano nemmeno addestrati per cercare le persone, mentre lì stanno impiegando decine di unità cinofile e persino un cane specializzato che viene dalla Svizzera. Io sin dall'inizio ho chiesto l'intervento di questi cani, organizzando anche una raccolta di firme per potenziare le ricerche. Inoltre ho sentito che lì ci sono 500 volontari che girano per Yara, prego con tutto il cuore che la ritrovino presto, mentre per mia figlia i volontari della Protezione civile erano una decina». E ancora: «A Brembate le indagini sono state indirizzate subito verso il sequestro di persona, mentre per mia figlia si è perso troppo tempo dietro le più svariate piste: internet, Facebook, la fuga d'amore, l'allontanamento volontario. Quando si sono resi conto che la pista era un'altra, era già troppo tardi». Ma era già troppo tardi. Ma, dato quel che è accaduto, cara signora Concetta, i cani forse anche i più addestrati, svizzeri o svedesi che fossero, non sarebbero potuti arrivare fino al pozzo dove Sara è stata buttata, non avrebbero potuto indicare colpevole o colpevoli. Al massimo si sarebbero fermati davanti all'ingresso dello scantinato della morte. Dove però la sua Sara era già stata uccisa. E i volontari della Protezione civile fossero venuti ad Avetrana in cento, mille, o diecimila, non avrebbero potuto ugualmente chiudere la bocca ai tanti stolti chiacchieroni e depistatori, carnefici compresi, che nel circo mediatico hanno sguazzato, fin dall'inizio, per lucro o per protagonismo. Lo ammette, sommessamente, anche lei quando dice: «Certo, però se avessero trovato prima il corpo forse i responsabili della sua morte non avrebbero avuto tanto tempo per nascondere le prove e inventarsi così tante bugie e ci avrebbero risparmiato tante sceneggiate televisive». Ci permetta invece di non essere d'accordo con lei, signora Concetta, quando esprime il suo giudizio sui genitori di Yara e sulla gente di Brembate: «Rispetto il loro dolore ma non mi piace come si stanno comportando verso l'esterno. Questa loro eccessiva riservatezza denota la volontà di snobbare tutti. Loro vivono il loro dolore al calduccio protetti dalle telecamere mentre noi abbiamo dovuto subire l'assalto delle televisioni come se tutto questo ci facesse piacere. Questo mi rode tanto. In quel paese i familiari non parlano, nessuno ha visto niente, sono tutti chiusi. Se lo avessimo fatto noi che siamo del Meridione ci avrebbero definiti omertosi». Le cose non stanno esattamente così. In questo caso c'è un sindaco che è subito intervenuto per proteggere la privacy, imponendo a tv e giornalisti di mantenere le distanze. E, in buona fede, non crediamo proprio ci sia omertà a Brembate Sopra, ma siamo più propensi a pensare che nessuno, purtroppo, abbia visto nulla e che, dunque, gli investigatori stiano davvero brancolando nel buio. La mamma e il papà di Yara stanno soffrendo esattamente come lei soffriva e continua certamente a soffrire. Ma non se ne stanno rintanati per snobbare qualcuno o qualcosa. Hanno semplicemente scelto di non parlare davanti alle telecamere. Nemmeno, e questo magari noi l'avremmo fatto, per lanciare un appello alla loro Yara. Per dirle come ogni mamma e papà direbbero: «Torna a casa, ti aspettiamo a braccia aperte con l'amore di sempre». Il dolore che, al freddo o al calduccio, sta rincantucciato nel riserbo, creda signora Concetta, resta sempre dolore.

Uguale al suo dolore. Misurarlo con il metodo che ci sembra lei stia usando è umano, forse, ma serve solo a far sentire più sola lei. Che sola ha lottato, con coraggio, fin dal primo istante per conoscere la verità sulla sua Sara.

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