L’avete vista bene la faccia dei grandi della terra? Gli avete letto negli occhi? Nello sguardo del presidente russo Medvedev, nel turbante del premier indiano Manmohan Singh? Avete capito qual era il baratro sul quale ballava l’intero vertice? Il brivido del mondo intero? In Italia la democrazia è a rischio! Quindi, visto che il riarmo atomico dell’Iran è sotto controllo, i missili nucleari di Pyongyang sbagliano mira, le rivolte in Cina sono solo di qualche milione d’esagitati, in Africa c’è un po’ di fame ma come si mangia sulle colline del Chianti - ahhhh, c’è quel posticino delizioso lassù, poi vi devo raccontare - ecco il problema, evidente, centrale, globale: è la democrazia italiana. Gli orsi bianchi che affondano sul pack in scioglimento? Il terrorismo internazionale e le mille trame di Al Qaida? Le pandemie che nascono come funghi? Niente. Finito. Il problema è sempre quello, invece. E sta ancora lì. Al governo. In Italia. Per cui li avete visti quei volti scuri, quei musi tesi, tristi, contriti dei leader mondiali? Mica guardavano le rovine di una terra violentata dal terremoto. Mica immaginavano il dolore, la tragedia, i morti. Macché! Quelle distruzioni erano per loro la metafora, nemmeno tanto subliminale, del nostro Paese. I Grandi piangevano perché immaginavano il futuro, a rischio di libertà, dei nostri figli e la commozione tracimava nei loro occhi tra lacrime e emozione. Bisogna fare assolutamente qualcosa! Bisogna impedire questo incubo, pensavano. E quindi ci pensa Di Pietro, sempre generoso, che si compra il paginone dell’International Herald Tribune - preoccupato, l’Herald, solo che la traduzione non sia sua - e urla: in Italia c’è un problema di democrazia! Ce n’è troppa, intendeva lui, guardando il suo partito personale. Però c’ha pure ragione. Prima, in Italia, un quotidiano che ti pubblicava, gratis, in prima pagina un avviso di rimozione (nel senso di: il presidente Silvio Berlusconi è pregato di abbandonare la Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla criminalità. 1994, Napoli) lo trovavi. Ora ti tocca andare in Inghilterra, pagare, per spaccare gli attributi agli inglesi che non vedono proprio l’ora di sapere come buttano da noi le cose. Sì perché lì, sempre in Inghilterra, sono ancora un po’ abbacchiati. Avevano spiegato a tutti il bon ton degli affari alla british - trasparenza e competenza - per poi riempir di melma il mondo di finanza tossica. A dire il vero, il primo idiota che parla con un po’ di accento noi lo eleggiamo a guru. Per non parlare del loro giornalismo, tutto correttezza. E da noi, ancora: facciamo come gli inglesi! Facciamo come gli inglesi! Ecco, dopo aver visto cosa fanno, meglio lasciar perdere. Quindi la testa l’hanno altrove anche se qualche affaruccio nella nostra nazione vorrebbero proprio farlo. A discapito nostro. Ma non divaghiamo perché adesso il problema è, appunto, la democrazia. Sostanzialmente in Italia la democrazia c’è a seconda di chi vince. Se vinco io, io quello buono, c’è. Se vinci tu, tu quello cattivo, è a rischio. Perché, sostanzialmente, il problema è il popolo. Del popolo mica c’è da fidarsi. Il popolo può essere bue o Gente a seconda di chi lo chiama. Se poi ti serve proprio, può diventare Società civile. La società civile ogni tanto dorme. Ad esempio, da noi, per circa una quarantina d’anni s’era appisolata (sai com’è, il fascismo, la resistenza, la stanchezza) ma all’improvviso: eccola lì! Pronta, ginnica, atletica. E gli italiani prima erano tutti maiali e tutti fetenti, e gli italiani di qui e gli italiani di là, ma con la società civile cambia tutto. Così che per un decennio - negli anni ’90 - abbiamo raddoppiato il popolo: sessanta milioni d’italiani e sessanta milioni di società civile. Poi, certo, tu li difendi, li cresci e li sfami e questi zac, appena ti giri, appena hanno due soldi che risparmiano alla sopravvivenza non te li spendono alla Feltrinelli, all’Opera, al concertino imperdibile ma s’attaccano a consumi cheap che più cheap non si può. E il Maestrino etico si offende prende la penna e s’arrabbia: dal populismo al fascismo il passo è breve! E tu sei tranquillo e pensi: almeno il comunismo, quindi, l’abbiam scampato. Ma lui, il Maestrino, torvo, insiste. Il suo sogno di democrazia rimane l’Acropoli di Capalbio dove si ritrova una tempesta di cervelli. Non sono capaci di decidere nemmeno la costruzione di una strada ma sono civilissimi. Stagionano tra spiagge e ombrelloni dove se vuoi una fattura ti tocca chiamare una maga. Perché sono, sì, civili ma un po’ meno fiscali. Farebbero fallire una tabaccheria ma ti spiegano come si guida il Paese. Poi sono anche un po’ schizofrenici. E prima fan tutti gli americani - prima prima erano molto russi ma poco importa - e adesso sono lì che non capiscono. Ma com’è che questi non ci ascoltano? Abbiamo pure un valoroso partito democratico. Molto all’americana. Poi prima fanno gli anticlericali, i mangiapreti, i laici extreme e dopo s’appiccicano all’encicliche del Papa per spiegarti il mondo e l’economia, con la stessa linearità con cui domanderesti a Wall Street di illuminarti sull’eucarestia. Ora, non che in Italia ci sia la perfezione. Figuriamoci. Tra premi di maggioranza, liste per chiamata, candidati che non voti, partiti senza partita, qualcosina in più magari non dispiacerebbe.
Ma la democrazia funziona se chi non è d’accordo ti mostra un’alternativa, ti oppone le sue idee, le sue persone, i suoi risultati. La democrazia mica è una macumba! E comunque: volevano la scossa, sono rimasti scottati. Bruciacchiati, riproveranno. Ma, intanto, fulminati, fumano. Di rabbia.luca@josi.it
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