«Quelli sono alla frutta Come posso essere ostile a un partito che non c’è?»

RomaIl comico genovese è rimasto sorpreso per la decisione del vertice nazionale dei nostrani democrat di escluderlo d’imperio dalla corsa alla segreteria? Ma via, lo sa bene anche Beppe Grillo che nessun cappone dirà mai sì al cenone di Natale, aveva anticipato il verdetto di svariate ore, sbandierando dal suo blog, seguitissimo da tutti i girotondini, movimentini e grillini, che «dunque il Partito democratico è completamente alla frutta». E ieri sera, quando gli hanno comunicato il niet della Commissione di garanzia alla sua iscrizione «perché ispira un movimento politico ostile al Pd», ha risposto con un nuovo sberleffo fulminante: «Abbiamo una commissione di garanzia? E chi sono? Io ispiratore di un movimento ostile al Pd? Ma come faccio a essere ostile se il Pd non c’è... Va be’ vuol dire che se non mi iscrivo al Pd mi iscriverò alla P2, farò un falso in bilancio a questo punto». Poi, tornato serio, ha concluso: «Io vado avanti, sto facendo le primarie, chieda a loro che cosa vogliono fare, se li conosce».
Va avanti dunque, Grillo. E se quelli del Pd, rifiutandogli la corsia per competere con Bersani, Franceschini, Adinolfi e Marino, hanno evitato di vedersi trasformare quella per la segreteria nella corsa più pazza del mondo, rischiano ora di soccombere sotto le accuse di aver paura di un giullare, di trincerarsi dietro le regole burocratiche, di essere antidemocratici e pure un poco stalinisti. Perché i Grillo boys sono spuntati come funghi, in questi giorni della sua «boutade» come l’ha liquidata Fassino. Accanto ai tradizionali sostenitori come Tonino Di Pietro, Marco Travaglio, Paolo Flores d’Arcais, i «grillini» delle liste fai da te (a Bologna hanno preso un consigliere, che ora chiede al sindaco e agli assessori del Pd di tagliarsi lo stipendio), alle sacche autonome di ipergiustizialisti, ai girotondini residuali di Nanni Moretti, a dire sì alla sua candidatura s’erano aggiunti in questi giorni anche Dario Fo, Paolo Villaggio, Maurizio Crozza. Addirittura nel Pd stesso, s’era formata un’onda favorevole al comico, pur con diverse motivazioni spesso contrastanti: Ignazio Marino, Paola Binetti, Claudio Burlando, Mario Adinolfi, Furio Colombo.
Ed è proprio dal ventre del Pd, che si levano le critiche più forti contro la decisione di tagliar le gambe (metaforicamente, s’intende), al comico. Si soon sempre dilaniati e divisi su tutto, volevate che non si lanciassero anche nella guerra interna sui grilli? Ed è proprio Adinolfi, uno dei quattro candidati “legittimi” e accettati, ad aver fulminato a tambur battente il vertice del Pd, sentenziando che sì, «Grillo è stato inurbano, ma la decisione di negargli la tessera è sbagliata». È andato giù pesante, Adinolfi: «La motivazione per cui si nega a Grillo la tessera perché ha presentato delle liste civiche mi fa sorridere. Autorevolissimi esponenti come Marco Follini facevano i vicepresidenti del Consiglio di Berlusconi e non abbiamo avuto difficoltà ad accoglierli nei massimi livelli della dirigenza da un giorno all’altro, come è giusto davanti a qualsiasi richiesta di “asilo”. Mi preoccupano le reazioni di Bersani a Grillo, hanno il sapore sempre più del partito-chiesa di un tempo, che speravo superato». Ancora: «Se avessimo accolto Grillo, se gli avessimo dato il benvenuto tra noi e gli avessimo permesso la candidatura, l’avremmo depotenziato e avremmo spiegato davvero agli italiani cosa vuole essere il Pd: una casa accogliente per tutti, non una ridotta per salvaguardare gli apparati».
Ineccepibile, la lezione di Adinolfi. E se quella di Tonino può essere invece sospettata fortemente di interesse privato, volete che non sia disinteressato il monito di Fausto Bertinotti, ormai un padre nobile per la sinistra? «Se il Pd ha davvero una vocazione maggioritaria e aperta a tutti, faccia un atto di coerenza e accetti la candidatura di Beppe Grillo», ha esortato il subcomandante Fausto insegnando che «starà poi al dibattito interno mettere in luce le contraddizioni di un signore che prima critica un partito e poi chiede di candidarsi». Anche Tonino però, in questo caso è stato misurato: «Il Pd sta sbagliando tutto con Grillo. Ma soprattutto sbagliano a non volerlo iscrivere al partito. La sua iniziativa aveva un unico obiettivo: mettere a nudo un bubbone, l’ipocrisia di un congresso che, sin dall’inizio, doveva essere riservato solo ai notabili esistenti. Tant’è vero che una delle cose che ora li sta preoccupando di più e che ci sono più tessere che elettori».
Non era possibile, disinnescare la bomba Grillo: qualunque decisione avessero preso i capi del Pd, era destinata all’effetto boomerang. Così il comico infierisce senza risparmio contro questo Pd del quale «non si sa che cosa sia ma visto che hanno detto che non è un taxi, né un tram né un bus, certo non è un veicolo a motore. Però non è un partito politico, è un partito burocratico. Non hanno un programma, io ho visto quelli che si stanno candidando. Come si fa a votare Franceschini, chi è Franceschini? Un programma? Non ce l’hanno.

L’unico che ha un programma sono io, che sono un comico».
E Piero Fassino che la definiva «una provocazione», Ermete Realacci «una uscita da cabaret politico», Giorgio Merlo «una simpatica parentesi», Achille Serra «una barzelletta».

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