Con questo centrosinistra il liberismo è un miraggio

Proviamo a chiederci: quanto c’è di liberale nella politica italiana? Assai poco, diciamo la verità. Sul Riformista recentemente Dino Cofrancesco ha annotato scetticamente che «oggi almeno l’ottanta per cento della sinistra si proclama liberale». Onestamente va detto che accade altrettanto a destra. Ma la verità è che in questo nostro Paese c’è scarsa cultura liberale. Non ce n’è molta, anzi assai poca, nella politica, dove spesso ipocritamente e strumentalmente ci si dice liberali per accreditarsi. Non ce n’è nei comportamenti individuali, non ce n’è nell’economia e nelle regole che la guidano. L’Italia - ecco un dato preoccupante - risulta il quinto mercato più regolamentato al mondo, dopo Ungheria, Messico, Turchia, Polonia. I livelli più bassi si registrano in Australia, Regno Unito, Islanda e Stati Uniti.
Nell’attuale governo di centrosinistra c’è uno spreco di richiami alle riforme, ma si evita di precisare la direzione la sostanza di queste riforme. Il potere di interdizione delle componenti di sinistra radicale, determinanti per la maggioranza, non lascia alcuna speranza che si possa procedere sulla via delle liberalizzazioni, di cui il Paese ha urgente bisogno. In realtà c’è tanta voglia di dirigismo, e non solo nell’estrema sinistra.
Sintomatiche sono le reazioni ai tentativi di modernizzazione di alcuni ministri, Bersani e Lanzillotta per esempio, ai quali lo stesso Prodi presta poca attenzione. Così come, sempre Prodi, s’è ben guardato di contenere il neodirigismo del ministro Di Pietro a proposito della Autostrade. Ancora, il presidente del Consiglio ha finora evitato di far notare allo stesso Di Pietro ch’è una assurdità pretendere che la magistratura intervenga nel caso di un emendamento, sia pure esecrabile, proposto al Senato. Come si può pensare di sovrapporre il potere giudiziario (che la Costituzione definisce un «ordine» e non un potere) il potere del Parlamento? Va ricordato che i membri del Parlamento - articolo 68 della Costituzione - non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Questa è la democrazia liberale e non altra.
Liberale potrebbe essere considerata la privatizzazione dell’Alitalia, ma conviene attendere per dare un giudizio ponderato. Per ora solo una cosa è certa: si procede alla destatalizzazione a causa della pesante situazione finanziaria dell’azienda, non per scelta culturale.
Insomma, sono assai pochi, o addirittura nessuno, i segni che si voglia liberare il Paese da quell’ingessatura che soprattutto in economia lo rende illiberale. Va detto, per equità, che anche da parte del mondo imprenditoriale non ci sono in proposito adeguate sollecitazioni. A volte si direbbe che ci sia la propensione verso uno statalismo di comodo. Nel settore del credito, per esempio, siamo ancora lontani dagli standard europei. Non è forse esagerato che un cittadino paghi per chiudere in banca un conto corrente?
In simili condizioni come sperare che l’Italia recuperi la capacità di competere in campo internazionale? Rimarremo sempre più in fondo alle classifiche finché i rapporti tra Stato e mercato saranno condizionati dall’ideologia e dai comodi di chi governa. Occorre un rivolgimento culturale nei nuovi rapporti tra Stato ed economia, tra Stato e cittadini. La politica deve sì regolare e indirizzare lo sviluppo del Paese, ma tenersi fuori dalla gestione operativa del mercato.
Questo centrosinistra avrebbe avuto bisogno almeno di qualche spinta liberale in economia. Pur dalla sponda opposta, c’era chi aveva sperato che Padoa-Schioppa, di cui si conoscevano i precedenti liberisti, si muovesse in quel senso.

È stata una ennesima delusione. Meglio, molto meglio Tremonti, lasciatelo dire a chi a suo tempo non apprezzò, e lo scrisse su questo giornale, quel suo strano colbertismo e trova tuttora inspiegabile la sua dichiarata tendenza «antimercatista».

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