Tiziano Ferro piange una decina di volte. Piange quando si ricorda di essere stato un adolescente grasso e impacciato. Piange perché è dovuto dimagrire di almeno 40 chili per presentarsi davanti al pubblico. Piange per essere stato costretto a portarsi dentro un segreto che non riusciva più a trattenere, per aver dovuto nascondere la propria omosessualità fino all'esplosione, il coming out pubblico, vera e propria liberazione finalmente. E poi piange per la famiglia che lo ha capito e accolto, per il papà e la mamma, per gli amici. Piange per il marito David il giorno del matrimonio a Los Angeles, della festa a Latina, piange per l'agognata serenità, di chi si sente felice più a fare la spesa nell'anonimato di un supermarket che sul palco di un concerto in uno stadio davanti a decine di migliaia di persone.
Finite le lacrime? Niente affatto. Tiziano continua a piangere perché era stato un alcolista e ricorda che fu difficilissimo uscirne e ora ha bisogno di aiutare gli altri. In quest'onda emotiva incontrollata, straripante, Ferro continua a piangere al Festival di Sanremo perché non riesce a cantare Almeno tu nell'universo della povera Mia Martini. Gli torna in mente quanto era stata sfortunata, bistrattata e piange. Va giusto un po' meglio nel duetto con Massimo Ranieri, di cui si considera almeno vocalmente un erede, ché in effetti Perdere l'amore è una situazione commovente e un piantino ci sta.
Tiziano Ferro è un uomo fortunato, la popstar italiana degli anni Duemila, apprezzatissimo dal pubblico e dalla critica. Scrive canzoni molto belle (e infatti avrei voluto ascoltarne di più invece di sorbirmi 'sta tragedia) e le canta anche meglio oggi, quarantenne, che la voce ha raggiunto una maturità impressionante. Eppure non c'è gioia che riesca a frenare lo struggimento. Lui è fatto così, si commuove sempre e comunque. I vecchi saggi dicevano che il troppo stroppia e dunque c'è qualcosa di falso, di costruito, anche se si sente la sofferenza della persona, nel documentario Ferro in programmazione su Amazon, dove il racconto si fa monocorde e monotematico: «il senso di Tiziano per la lagna».
Gli vorrei dire, io che lo ammiro tanto, che conosco a memoria le sue canzoni, di piantarla con 'sta litania. Oggi il mondo sorride alle persone come lui, le protegge, le carezza come si fa con un orsetto di peluche.
Nel 2020, specialmente nell'arte e nello spettacolo, l'omosessualità non è più lo stesso problema che dovette subire il povero Umberto Bindi negli anni '60, e neppure gli scherni che Renato Zero ha saputo cavalcare con malizia e intelligenza. Quindi riponga i fazzoletti e torni a cantare, canti la felicità e l'orgoglio gay onorando così quei tanti militanti cazzuti e coraggiosi che davvero l'hanno pagata, lottando invece di piangere.
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