Il raìs vince col cannone e ascoltando le tribù

TripoliTrattative con le tribù, avanzate lampo a colpi di cannone e mobilitazione delle Guardie popolari, in nome della rivoluzione di 42 anni fa con la distribuzione delle armi ai civili. Così il colonnello Gheddafi non solo regge, ma punta alla rivincita contro i ribelli partiti dall'Est, che rischiano di venir stritolati in un'enorme sacca. «Avanziamo verso Bengasi. Siamo alle porte di Agedabia e posso rivelare che quattro quartieri periferici di Tobruk hanno issato la bandiera verde» spiega al Giornale il colonnello Milad Hussein Al Foghi, portovoce delle forze armate libiche. Agedabia , a sud di Bengasi, è lo snodo strategico dove la superstrada costiera, che permette il transito dei carri armati, vira ad est dritta su Tobruk.
I comandanti rimasti fedeli a Gheddafi sanno che espugnare Bengasi, seconda città del Paese e roccaforte ribelle, causerebbe un bagno di sangue e l'intervento della comunità internazionale. La tattica è più sottile. I carri armati della 32ª brigata guidata da Khamis, il figlio militare di Gheddafi, piomberebbero su Tobruk, una volta conquistata Agedabia. Una mossa a tenaglia che punta a isolare la parte della Cirenaica ribelle con Bengasi, El Beida e Derna. I rivoltosi si troverebbero con le spalle al mare. «Chi non si arrende avrà una sola possibilità: fuggire all'estero» ribadisce il portavoce.
Gheddafi non si affida solo ai 7-10mila uomini aviotrasportati della brigata comandata dal figlio. Dopo le diserzioni nelle forze armate ha mobilitato le Guardie popolari, eredi dei vecchi comitati rivoluzionari. Di notte, assieme alla polizia segreta, fanno sparire i sospetti oppositori da quartieri e sobborghi della capitale, come Fashlun, Sharm Ben Ashur e Tagiura. «Adesso che avanzano hanno pure l'ordine di scoperchiare le tombe dei morti nell'offensiva e portarli via, per non lasciar prove alle spalle» svela una fonte del Giornale a Tripoli. Non solo: dal 6 marzo è iniziata la distribuzione di kalashnikov ai civili. Il colonnello ha minacciato di armare da uno a tre milioni di libici.
Il bastone, però, non basta. «Non solo garantiamo l'amnistia a chi abbandona le armi - spiega Mussa Ibrahim, portavoce del regime -. Attraverso la cabila (tribù) ascoltiamo le richieste della loro gente offrendo posti di lavoro, case, aiuti».
Misurata, terza città del Paese a soli 180 chilometri a ovest di Tripoli è in mano ai ribelli. «Ci sono tre fazioni armate divise fra loro - spiega il colonnello Al Foghi -. Con due stiamo trattando e solo una è composta da irriducibili». Il problema è che l'80% delle famiglie di Misurata ha legami familiari con Bengasi. La tribù chiave sarebbe quella dei Banu Walid, a sud della città, dove sono arroccati i reparti di Khamis Gheddafi. Sia i ribelli che i governativi pensano di avere in mano l'alleanza con questo clan. Stesso discorso con la cabila dei Farjan, attorno ad Agedabia. Ed il gioco a scacchi delle tribù riguarda anche Tripoli con gli Al Mugiabra, a sud-ovest della capitale. Il loro membro più in vista è il generale Abu Bakr Younis Jaber, comandante in capo della forze armate. Sembra che sia agli arresti domiciliari per le diserzioni.
Una volta chiusa in una sacca la Cirenaica ribelle, si spera che Gheddafi venga costretto a trattare dai suoi uomini fidati per evitare il bagno di sangue.

Uno fra tutti Mussa Kusa, ex capo dell'intelligence libica per trent'anni, oggi ministro degli Esteri. Non a caso le sanzioni internazionali nei confronti del clan attorno al colonnello non lo riguardano.
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