Luca Telese
da Roma
Non si sblocca ancora la complessa vicenda della nomina di Alfredo Meocci a direttore generale della Rai. Dopo Claudio Petruccioli - neopresidente da pochi giorni - ieri il Consiglio di amministrazione ha indicato al ministero del Tesoro (il principale «azionista»), il nome di Meocci, 52 anni, veronese, ex giornalista del Tg1 specializzato in Esteri con alle spalle un passato da portiere nella primavera del Verona. Meocci ha poi coltivato un cursus honorum assortito: assessore alla Cultura scaligero, deputato dellUdc (nel 1994), vicepresidente dellEnte lirico Arena di Verona e di consigliere di amministrazione dellIstituto Luce, poi (dal 1998) commissario dellAutorità per le garanzie nelle comunicazioni, dove - narrano le voci del Palazzo - avrebbe cementato definitivamente il suo rapporto di reciproca stima con Silvio Berlusconi.
Il voto è avvenuto in due round, durante la riunione più difficile del Cda, su proposta di due dei consiglieri di maggioranza, Giuliano Urbani e Marco Staderini. Non è stata una scelta indolore, se è vero che nella combattuta seduta, a sorpresa, sono stati proposti altri due nomi. Del primo si parlava da giorni: era il cosiddetto «candidato interno», Giancarlo Leone. Ieri Leone è stato presentato dallo stesso Petruccioli: uomo di grandissima esperienza, radicatissimo nellazienda, per lungo tempo considerato un centrista vicino alla maggioranza, in questi ultimi giorni diventato la proposta-bandiera sostenuta anche dai consiglieri dellopposizione (pur di far naufragare lipotesi di Meocci). Il secondo sarebbe stato un repêchage eccellente, quello delluscente Flavio Cattaneo, saltato fuori dal cilindro della consigliera leghista Giovanna Bianchi Clerici. Linedito ballottaggio «a tre» si è deciso per un solo voto: entrambi gli sfidanti, infatti, hanno ottenuto quattro voti, uno meno di Meocci, che alla fine ha incassato tutti quelli del centrodestra. Liter che portava allelezione definitiva richiedeva, però, due passaggi: il nome di Meocci, infatti, dopo la designazione in Cda, è stato vagliato nellassemblea con il Tesoro, alla quale Carlo Rognoni, Sandro Curzi e Nino Rizzo Nervo (consiglieri in quota al centrosinistra) non hanno preso parte «per protesta». Ed è lì che si è creata limpasse. In un primo momento, infatti, il Tesoro ha fatto mettere a verbale che la responsabilità di uneventuale incompatibilità sarebbe ricaduta sul Cda e non sul ministero dellEconomia, visto che secondo lopposizione, lex giornalista del Tg Rai sarebbe ineleggibile per via del suo precedente incarico allAuthority (una legge del 1995 prevede lincompatibilità temporale per quattro anni con una azienda controllata dallo stesso organismo su cui i due organismi si dovranno esprimere). Dopo alcune telefonate tra Urbani e Palazzo Chigi, il consigliere ha pure parlato a lungo con Berlusconi, il ministero dellEconomia è tornato sui suoi passi, ha cancellato dal verbale la «clausola» e fatto sapere che «ogni polemica è priva di fondamento». Nonostante questo, però, a tarda serata - su richiesta di Urbani e con il via libera di Petruccioli - il voto finale è stato sospeso per consentire ai sindaci «ulteriori valutazioni». Il Cda tornerà a riunirsi oggi alle 12 e Petruccioli ha già fatto sapere di non poter partecipare al voto senza conoscere la determinazione del Collegio dei Sindaci.
Nel centrosinistra, infine, è esploso un altro caso, dopo lintervista con cui Arturo Parisi esprimeva dubbi sulla nomina dello stesso Petruccioli. Emanuele Macaluso ha scritto un irato corsivo che, su Il Riformista di oggi, invita i diessini a non votare Prodi alle primarie. Si chiede, il grande vecchio della Quercia: «Claudio è incompetente? Fazioso? Scorretto sul piano morale o politico? No, risponde anche chi non era favorevole alla sua candidatura. Qualcuno aveva osservato che il neo presidente Rai era un ulivista oltranzista e prodiano, ma leale con tutti. E allora - continua Macaluso - perché lopposizione di Prodi a un prodiano? Perché Claudio è tale per scelta politica, non personale, non è un famiglio del Professore.
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