«Referendum, no a una campagna urlata»

Delusione per il risultato di Napoli, in cui aveva investito le sue speranze: «Non dovevo espormi così. Mi sono fidato troppo, credendo all’ottimismo»

Adalberto Signore

da Roma

Prima scivola come nulla fosse un vertice dei leader della Casa delle libertà, poi salta a Montecitorio la riunione dei gruppi di Forza Italia inizialmente prevista per 17.30. Silvio Berlusconi, intanto, fa il punto sui risultati elettorali in un pranzo ristretto a Palazzo Grazioli, presenti tra gli altri Sandro Bondi, Fabrizio Cicchitto e Paolo Bonaiuti. E nel tardo pomeriggio, a via dell’Umiltà si tiene una riunione dei vertici azzurri nella quale si discute sì dell’esito del voto ma pure dell’organizzazione dell’ormai imminente campagna referendaria. Insomma, un day after, quello di Forza Italia, all’insegna dell’indecisione. Segnato soprattutto dal «grande dubbio» con cui Berlusconi è alle prese ormai da lunedì sera. L’ex premier, infatti, deluso dalla tenuta della coalizione a Roma, Torino e soprattutto Napoli, non è più così convinto che la campagna sul referendum vada impostata con lo sguardo volto alla politica nazionale. Insomma, se questo (che sostanzialmente conferma le amministrazioni uscenti lasciando quasi invariati gli equilibri) si è trasformato in una boccata d’ossigeno per il governo Prodi proprio perché il centrodestra aveva ipotizzato «l’avviso di sfratto», cosa succederebbe se la riforma federale venisse bocciata?
Chiuso per il tutto il giorno a Palazzo Grazioli, l’unica dichiarazione ufficiale della giornata Berlusconi l’affida a una nota. Il Cavaliere ringrazia «tutte le elettrici e tutti gli elettori» di Forza Italia e in particolare quelli che «mi hanno premiato con 52.576 preferenze a Milano, pari a un quarto del risultato ottenuto dal movimento, e con oltre 10mila a Napoli». Forza Italia, spiega, «si conferma il primo partito anche in una competizione amministrativa, terreno a noi più sfavorevole, superando il 32% a Milano». Poi, uno sguardo al Nord (il voto «conferma che la Cdl è maggioranza in Lombardia e Veneto») e uno al Sud (visto il successo in Sicilia). Risultati «tanto più importanti» perché «conseguiti nonostante il fortissimo calo dei votanti». «Continueremo ad impegnarci - conclude Berlusconi - per migliorarli e rappresentare al meglio l’oltre 50% degli italiani che nutre fiducia in Forza Italia e nella Casa delle libertà».
Ufficialità a parte, la delusione per il risultato di Napoli resta grande. Il senatore di Forza Italia Franco Malvano, infatti, si è fermato al 37,8 (cinque anni fa, sempre contro Rosa Russo Iervolino, Antonio Martusciello arrivò al ballottaggio e prese il 47,1), smentendo le previsioni della vigilia. «Mi sono fidato troppo - si sfoga con i suoi - e ho creduto nel loro ottimismo. A Napoli non dovevo espormi così, abbiamo trasformato un pareggio in una sconfitta...». Ma c’è n’è anche per gli alleati, soprattutto dopo che in privato Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini hanno contestato l’eccessiva esposizione del Cavaliere («un errore») e il pessimo risultato di Forza Italia a Roma: «Parlano tanto, ma dove sono i voti di An e Udc?».
Il day after, dunque, porta con se una linea di moderata cautela sul referendum. Che va sostenuto al meglio - è la riflessione che si fa tra gli azzurri - perché è un voto su una parte importante del programma della Cdl. Ma che non dovrà essere interpretato come una chiamata alle armi contro il governo. «No a una campagna urlata», spiega l’ex premier, perché serve una «capillare informazione sul merito della riforma». E cita la «riduzione del numero dei parlamentari», i «maggiori poteri del premier» e il «federalismo». Ed è questa la linea che Bondi, Cicchitto e Giulio Tremonti indicano in serata ai coordinatori regionali azzurri. Un orientamento che in qualche modo era già emerso in giornata durante i molti contatti tra An e Forza Italia per gettare le basi del Comitato unitario per il «sì». E che ritorna anche sul sito azzurro www.sivotasi.it, dove Antonio Palmieri, deputato e responsabile della comunicazione elettorale, ha deciso di non fare alcun cenno a «spallate» e «avvisi di sfratto» («Meno sprechi, più poteri ai cittadini», recita lo slogan).
Una posizione che forse non farà troppo piacere alla Lega, che da tempo chiede una campagna a tambur battente. «Parliamo tanto - aveva detto sabato sera Umberto Bossi durante il vertice di Arcore - ma qui ancora non si è mossa paglia...». Con Berlusconi che prontamente ha preso in mano il telefono e chiamato sia Fini che Casini per avere rassicurazioni. Ma, fanno notare in Forza Italia, concentrarsi sul merito della riforma «non significa certo sminuire l’appuntamento». Insomma, Berlusconi, seppur con qualche accorgimento, resta deciso a impegnarsi al massimo. Perché pure senza che il voto venga preventivamente caratterizzato, è chiaro che una vittoria del «sì» sarebbe un duro colpo per l’Unione. Sulla stessa linea Fini, convinto che non si debba «drammatizzare» il risultato amministrativo ma «lavorare uniti» in vista del referendum. Più articolato il punto di vista dell’Udc.

Con il segretario Lorenzo Cesa che ancora ieri rassicurava Brancher («ce la metteremo tutta») e Casini molto più prudente. Al punto che dalla base (il segretario nazionale dei giovani Udc e il capogruppo centrista in regione Puglia lo accusano di tenere «una linea altalenante») arrivano i primi segnali di insofferenza.

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