Spesso sull'acqua salta un cefalo e schizza davanti alla canoa. Un po' dappertutto ragni d'acqua. Una biscia si è avvicinata al kayak di una donna e ha tentato di salire. È tutto vitale, tutto in movimento. Huck Finn di Twain avrebbe detto «Un fiume mostruosamente grande, il Mississippi!», ma questo è il Po e noi abbiamo deciso di percorrerlo in barca, canoa, kayak e battelli di ogni genere. Partiremo dal Mincio di Mantova e arriveremo fino alla Darsena di Ferrara. Siamo in centocinquanta; c'è chi arriva da Torino, chi dalla Toscana, dalle Marche, dal Lazio. Gente da tutta Italia per partecipare alla «Prima discesa a remi non competitiva del Po». Tre giorni, tre tappe. Ognuno ha le sue ragioni per farlo. C'è chi vuole stare in silenzio a pagaiare e meditare, chi mette alla prova la sua resistenza, chi lo fa per fuggire da sé o sparire completamente, rendersi irreperibile. Cento chilometri di fiume da attraversare. Il più anziano ha ottantatré anni, il più giovane viaggia col padre e ha dieci anni. In questo percorso c'è tutto un rimando poetico e letterario che a ben guardare potrebbe risultare uno stereotipo ma noi, più che Zavattini o Guareschi, abbiamo nella testa William Least Heat-Moon e il suo Nikawa, che prende il nome dal piccolo natante col quale l'autore compie i suoi tragitti, crea il diario di bordo di una navigazione dell'America via acqua.
La nostra mappa fluviale prevede il percorso tra aree agricole, boschi di rovi e querce, passaggi tra industrie chimiche, zone inaccessibili dalla terraferma, oasi naturalistiche, pioppeti, platani e aceri. A Po l'immaginazione brulica, lo si vede dagli occhi di chi parte. Un signore dalla folta barba bianca soprannominato «Gengis» dice che sulla sua canoa batte sempre il sole; vorrebbe scacciare il maltempo e le avverse previsioni meteorologiche. Il Po. Virgilio nelle sue Georgiche lo chiamava Eridano: «Eridano, di cui non c'è fiume più violento che affluisca attraverso fertili campagne al mare purpureo» ma si è chiamato anche Padus e Bodincus secondo le epoche e i popoli che vi hanno abitato. Passa uno col megafono: «Sbrigatevi! Portate le barche in acqua». Un gommone, a tutto gas, accelera e fischia. Lungo gli alberi del Campo Canoa escono i vogatori con zainetti sulle spalle. Un gruppo di quattro che arriva da Venezia mette in acqua un battello di dieci, dodici metri di lunghezza. Saprò più tardi che l'hanno comprato a Revere da un signore che lo aveva fatto costruire a Boretto negli anni '50.
Il giorno non s'è ancora acceso che già il sole fiammeggia tra qualche incerta nuvola grigia e blu. Sembra la festa del crepuscolo, invece è mattina. Ci sono ciclisti e biciclette, dappertutto biciclette, e auto ferme, camper i cui proprietari scaricano canoe rosse, verdi, azzurre. Plastica, legno, vetroresina, ferro e stucchi. C'è odore di acqua ferma e di ninfee. C'è odore di argilla bagnata e di cacate d'uccello. Gli alberi ridono e fremono; non c'è nulla qui che li possa minacciare. Si vede la cupola della basilica di Sant'Andrea dell'Alberti e c'è il ponte di San Giorgio, il parcheggio di Sparafucile, le torri medievali e quelle rinascimentali della reggia dei Gonzaga. Quando Gianni Celati scrive Verso la foce, il suo diario d'osservazione lungo il Po, è da pochi giorni accaduto l'incidente della centrale nucleare di Chernobyl. È il 1986. Il suo diario va a ritroso e noi lettori ci troviamo ad andare con lui indietro nel tempo fino al 4 giugno del 1983. Celati parla di dimenticanza, immaginazione, sorprese, descrizioni. Noi abbiamo i Vigili del Fuoco, reparto subacquei, che ci segue. In testa la barca a motore dell'Aipo, acronimo di Agenzia interregionale per il fiume Po, sulla quale c'è Vittorino Malagò, l'ideatore della Discesa a remi non competitiva che assieme al Consorzio Oltrepò ha permesso tutto questo. C'è un tipo che rema stando in piedi su una specie di tavola da surf senza vela. Dice che si chiama Sup, stand up paddle, e a me sembra difficilissima da dominare. C'è gente inginocchiata su un kayak, sono in due e uno rema da una parte, uno dall'altra.
Dal margine del Mincio si entra in diga Masetti e lì ci sono i fiori di loto. I marinai mi hanno insegnato che per la navigazione hanno nominato ogni curva e insenatura dei fiumi. Qui le hanno chiamate Volta Rovescia, Tirolo, Garolda, Polenta, Bolognina. Serve nominarle per non scontrarsi tra battelli che arrivano da opposte direzioni. Quando si arriva a Governolo bisogna entrare nella chiusa che separa il Mincio dal Po. Attendiamo aprano le paratie delle chiaviche. L'acqua deve scendere di quattro metri per passare dall'affluente al Po. C'è gente che canta tenendo alta la pagaia, qualcuno dal ponte fischia e vuole fare una foto del gruppo. Alcune capre mangiano l'erba sull'argine attorno all'acqua. Questa è una piccola celebrazione della sosta e degli imprevisti. Con il ritirarsi dell'acqua le barche non riescono a stare ferme e allora veniamo tratti sulla sponda in cemento che graffia canoe e battelli senza parabordi.
Una volta superata lanca, chiavica e contro chiavica ci troviamo sul Po di San Benedetto. Qualcun mentre rema dice che ora il Po è pulito, sono tornati gli storioni. Altri hanno visto coi loro occhi due storioni lunghi due metri spiaggiati su un'isola. C'è «Il Biondo» che nei fine settimana, finito il lavoro di muratore, parte con tenda, canna da pesca e canoa, e se ne sta fuori dalla civiltà a pescare, sulle strisce di sabbia create dai mulinelli. Le correnti dell'acqua creano in superficie strani disegni micenei. Lì si incontrano le correnti del Po che arriva da Ovest e l'acqua del suo ultimo affluente di sinistra. Poco lontano da qui il poeta Umberto Bellintani nel suo Nella grande pianura scrive: «Ma qui/dove il fiume rode alla boschiva sponda/i fanciulli da sott'acqua parleranno/lietamente ai fanciulli sulla riva». Poi ci sono i segnali fluviali a forma di rombi bianchi e rossi, e cime, cavi, boe e gavitelli, cunei, verricelli, moschettoni e mezzi marinai per allontanarsi dalla riva, se la corrente porta a sbattere. Questo è un fiume d'emozioni che come l'acqua si trovano a correre veloci o lentissime, a mulinare insidiosamente, a farsi limpide o intorpidirsi e noi siamo tra gli argini, immersi nel suo alveo. Si inarca tra i bastioni, matto come una belva alle sbarre, irreggimentato, dominato, nascosto, scavato. Nei millenni abbiamo cercato di comandarlo in tutti i modi, ammansirlo, ma è un fossile liquido che non finirà mai. Dappertutto remi, e teste a fior d'acqua, silenzi rotti da sirene o canti di tarabusi e di cornacchie.
Bachelard nel suo Psicanalisi delle acque indaga il momento magico in cui l'immaginazione trasforma un elemento naturale, l'acqua, nella materia libera del sogno e della creazione.
La nostra discesa in barca rimanda a Caronte, Narciso, Ofelia, al cigno di Leda. Il fiume leviga il mondo, stacca le cose solide e le trascina via. Per lui i nostri giorni non sono altro che polline di pioppo. Alla gente importano soldi e salute, importa essere amata. Al Po basta la continuità.
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