Per la Repubblica parata e concerto ma senza retorica

Devo qualche spiegazione all'amico Sergio Rotondo che ha contestato la mia proposta di celebrare il 2 giugno con un «Concerto per la Repubblica» alla Scala. Non ho mai pensato che il concerto dovesse sostituire la parata di via dei Fori Imperiali, verso la quale non provo alcuna ostilità ma anzi simpatia e nostalgia, giacché vi ho personalmente partecipato per ben due volte. Ho semplicemente suggerito di aggiungere all'evento militar-popolare di Roma un'altra manifestazione nazionale, altrettanto «italiana», di qualità e cultura e non meno popolare. Quindi non un concerto invece ma anche. «C'erano decine di miglia di persone ad assistere alla parata - scrive Rotondo - mentre il concerto alla Scala sarebbe riservato a non più di un migliaio di persone». Il fatto è che gli italiani sono quasi 60 milioni (anche il concerto dovrebbe andare in Tv come la parata) e non è detto che per tutti l'idea di Patria e Repubblica si esaurisca nelle stellette. Tanto più che, con la sospensione della leva obbligatoria, le nostre Forze Armate non sono più «l'esercito di popolo» sognato da Carlo Cattaneo ma un esercito di professionisti, d'élite. Dunque, invitando Milano a dare un suo contributo alle celebrazioni del 2 giugno, non voglio togliere nulla a Roma. Purché si rinunci a una certa retorica della capitale e si ricordi sempre che Roma non è Parigi o Londra o Madrid: non è la città intorno alla quale si è costruita la nazione.

È capitale «inventata» per necessità dalla cultura risorgimentale, per dare all'Italia quel pedigree unitario («ché schiava di Roma Iddio la creò») tanto enfatizzato poi dal fascismo. Una capitale, dunque, che deve lasciare spazio alle altre realtà fondative del Paese.

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