«Rieccolo!» Amintore Fanfani il toscanaccio

Un «cavallo di razza» della Dc raccontato da Vincenzo La Russa

«Rieccolo!». Così Montanelli, con un po’ di ironia ma anche con la simpatia che da «toscanaccio» riservava al suo illustre corregionale, salutava Fanfani ogni volta che tornava a riapparire con incarichi importanti nel mondo politico. Ne apprezzava la volontà combattiva, l’onestà e, soprattutto, la mancanza di compiacenza verso amici e avversari, ch’era la caratteristica che distingueva il leader «brevilineo», com’egli stesso implicitamente s’era definito in un famoso saggio scritto nel 1934, quando insegnava alla Cattolica (Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo).
Questi, in effetti, era Amintore Fanfani: politico dai modi bruschi, padre-padrone in privato, nel partito e nel governo, autoritario (fu Sturzo a rimproverargli «eccessivo autoritarismo», tanto che nel suo diario del 1959 annotò: «Sturzo non può fare il prete e il diffamatore»), temuti erano i suoi motti da toscano dispettoso. Guai a metterglisi contro. Di amici ne ebbe pochi, principalmente dentro la Dc. Memorabile la scheda che fu inserita nell’urna della Camera quando fu candidato senza successo al Quirinale: «Nano maledetto, non sarai mai eletto». Lo rappresentò bene Ettore Bernabei, amico fedelissimo, alla commemorazione funebre nel dicembre 1999: «Incontrò molte difficoltà, ricevette molte critiche e pochi elogi, se si toglie il riconoscimento della sua intelligenza e della sua onestà».
Vero «cavallo di razza» della Dc, partito che governò l’Italia per quasi mezzo secolo tra alterne e anche contraddittorie vicende, portandola - questo è innegabile - nella modernità del secondo Novecento. Mi si permetta questo giudizio obiettivo e franco, pur essendo stato, da liberale e laico, spesso critico verso il cosiddetto «regime» democristiano.
Ed ecco ora un libro che di Fanfani, del personaggio e della sua Dc, racconta luci e ombre, sia pure con una certa carica di passione: Vincenzo La Russa, Amintore Fanfani (Rubbettino, pagg. 441, euro 20). Un volume interessante e assai documentato: l’autore vi ha dedicato anni di ricerche, ha raccolto testimonianze, ha esaminato scritti (i Diari soprattutto), ha visitato i luoghi dell’adolescenza, degli studi, di tutta una vita.
Fanfani è stato protagonista di una lunga stagione politica italiana. Possono stargli a fianco per statura culturale e politica, solo tre altri «cavalli di razza», per dirla con Montanelli: De Gasperi, Andreotti, Moro. Indubbiamente fra i quattro chi si innalza per eccellenza, storicamente il più rilevante, che può stare tra i nostri grandi uomini di Stato, è De Gasperi.
Fu padre Gemelli a scoprire il talento di Fanfani e a lanciarlo nel mondo accademico. All’Università Cattolica approdò, studente, a 18 anni, nel 1926. Nel 1932 era già libero docente, poi titolare di cattedra. Studioso del corporativismo, che prima ancora che al fascismo apparteneva alla cultura sociale cattolica. Certo, aderì al fascismo, come del resto gran parte dei docenti di allora.

Poi lo sbocco nella Dc fu naturale. Il suo percorso politico fu lungo, fruttuoso e con successi notevoli, pur tra tensioni e polemiche. Nato nel 1908, morì nel 1999. La sua vita, riconosciamolo, fa parte della nostra ultima storia nazionale.

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