Una rifondazione socialista che azzera l’era Craxi

Eccoci alla proclamazione dell’«Unità Socialista», eccoci alla «fine della diaspora socialista», eccoci al partito dei «riformisti». Eccoci a Fiuggi, l’ultima rappresentazione di quella Madonna Pellegrina che la nomenclatura del Psi porta in giro da quasi un decennio per tutta l’Italia: la «rifondazione del Psi», cercando di raccogliere i consensi del disperso elettorato socialista. Peccato che le suddette nomenclature non abbiano raccolto, divise, più del due/due e mezzo per cento. Peccato che, unite, ne raccoglieranno ancora di meno, perché sono la rappresentazione del tradimento di un uomo e delle sue idee. Prima si sono divisi intorno alla negazione di Craxi, oggi si riuniscono su un programma pre-craxiano che al massimo tollera ciò che è avvenuto dopo il Midas, facendo finta di non sapere che la gran parte del popolo del Midas, della Conferenza Programmatica di Rimini del 1982, del referendum sulla scala mobile, del Concordato, non vota più per loro. Non ne riconoscono più, da almeno quindici anni, meriti e leadership, anche perché non hanno dimostrato la generosità che i leader devono avere: investire sul futuro, e non solo sempre su se stessi. Nessun progetto può nascere e avere successo sulla negazione dell’evidente e sulla menzogna.
Nel merito, spiego perché questo congresso dello Sdi non promette niente di nuovo. Che cosa di nuovo propone Boselli, a parte l’innamoramento per l’anticlericalismo, unico lascito dell’avventura con Marco Pannella? Il vecchiume della scuola pubblica? Il matrimonio gay? Non hanno il coraggio di ammettere che il socialismo, in Italia, è stato molte cose.
Craxi ereditò nel ’76 un Psi debolissimo, perché diviso su tutto, senza identità, spessore culturale, tensione progettuale, schiacciato dal compromesso catto-comunista Dc-Pci, prigioniero di preconcetti ideologici: l’unità a sinistra anche se subordinati, la redistribuzione della ricchezza prima della sua produzione, il pubblico prima del privato, antifondamentalisti si, ma flebilmente filoamericani, la scuola e l’educazione decisamente statali, i preti meglio se affamati. Dalla seconda metà degli anni ’70 Craxi ruppe tutti questi preconcetti, disse che cosa sarebbe stato il suo socialismo: decisamente anti-comunista, nel senso che si poneva in alternativa ai comunisti e che fra l’unità della sinistra e la propria identità riformista, sceglieva decisamente la seconda, disse che la libertà viene prima dell’uguaglianza, la produzione della ricchezza prima della sua distribuzione, il principio di sussidiarietà prima della regolazione pubblica, l’autogoverno e l’autonomia dell’individuo piuttosto che l’attesa dello Stato, l’uguaglianza delle opportunità piuttosto che il livellamento ugualitario.

Disse, con il Concordato, che l’Italia sarebbe stata più laica, che il paese sarebbe stato più libero se la Chiesa si fosse assunta la responsabilità di dire pubblicamente, senza intermediari, la propria opinione. Su tutti questi temi i craxiani la pensano all’opposto di Boselli, che è quindi liberissimo di farsi un partito neo-demartiniano.
*Parlamentare di Forza Italia

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