Avendo paura delle parole, difficilmente i sostenitori di Walter Veltroni diranno che il loro beniamino abbia sottinteso un semi-presidenzialismo - sia pure «made in Italy» -, nel pacchetto di riforme indicato di recente. Del resto, neanche lui è ricorso a questespressione nel proporre un modello istituzionale che garantisca maggiori poteri al governo e al primo ministro; ma soprattutto la possibilità di esercitarli. E tuttavia le critiche che da sinistra sono già piovute contro il leader in pectore del Partito democratico, paragonato con velenoso allarmismo un po al Tony Blair del tempo che fu e un po al Nicolas Sarkozy del tempo che verrà, danno lidea del massimo che potrà venir fuori dal cappello del vago riformatore: il mini-presidenzialismo. Qualcosa di idealmente a metà strada fra un sindaco dItalia e un premier da municipio. Un ibrido che potrà consentire al centrosinistra daffermare dessere andato oltre il meccanismo dellindecisione permanente a cui sono sottoposti i governi; senza che la sinistra estrema possa a sua volta gridare allo scandalo per la «deriva plebiscitaria» dietro langolo. In sostanza, sarebbe un vigoroso passo indietro rispetto alle ipotesi più avanzate a cui serano spinti i riformisti dentro i Ds. E un innocuo passetto in avanti rispetto al conservatorismo progressista del sistema parlamentare così comè. Neppure qualche ritocco alla Carta, si sa, ammettono i «senza se e senza ma».
Niente di moderno potrà perciò costituzionalmente arrivare dal compromesso che Veltroni dovrà trovare, quando vorrà specificare quale concreta riforma prediliga. Sarà un compromesso imposto non dallopportunità di coinvolgere l«altra parte» nel progetto di un cambiamento possibile, ma dalla necessità di non «provocare» il massimalismo della sua parte. Massimalismo altrimenti pronto a cuocere Veltroni nel brodo delle accuse di un gollismo allamatriciana.
Ma partorire un mini-presidenzialismo dopo un quarto di secolo di camerali e bicamerali impegnate senza esito a rinnovare la legge fondamentale della Repubblica, significherebbe tornare addirittura allera pre-Craxi. Perché fu questultimo, col conforto del già allora dottor sottile alias Giuliano Amato, il primo leader di partito a introdurre la nozione del presidenzialismo nel dibattito della politica italiana. A introdurla dalla porta principale del governo, visto che fino a quel momento lipotesi di una Repubblica presidenziale veniva formulata soltanto dagli oppositori del Msi e da singoli esponenti del Pri e del Pli in maggioranza; e dunque tale ipotesi non riusciva a superare lambito di una polemica ininfluente sul terreno politico-istituzionale. Tantè che nella prima commissione-Bozzi, che fu unicamente commissione di studio, della cosa neppure rimase, o quasi, traccia documentale.
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