Rijoise, la neonata che ha sconfitto il virus nel regno dell’Aids

È venuta alla luce in Malawi, il Paese africano con la percentuale di morti per Hiv più alta del mondo. I genitori sono sieropositivi, ma lei è sana e beve il latte della madre

Nino Materi

nostro inviato a Lilongwe (Malawi)

Alice Mungomo ha 24 anni, ma ne dimostra la metà. Ha in braccio la figlia di 4 mesi: Rijoise, che significa «fiore di luce». Alice sembra una bambina che coccola il suo bambolotto. La mamma col viso sorridente e il corpo esile di un'adolescente custodisce un bigliettino; sul foglio c'è una specie di scarabocchio. È una frase di Tagore: «Ogni piccolo che nasce ci dice che Dio non si è ancora dimenticato di noi».
«Me lo ha dato il ginecologo dell’ospedale di Lilongwe - racconta Alice -, da allora lo porto sempre con me. È il portafortuna mio e di Rijoise». Di fortuna ne hanno bisogno entrambe: Alice e suo marito sono sieropositivi, Rijoise è sana ma va tenuta sotto terapia. Intanto beve il latte della mamma. Dio non si è dimenticato di loro e ha permesso che un «fiore di luce» sbocciasse nell'arido giardino di Aids City.
A Lilongwe, capitale del Malawi, il virus Hiv miete infatti più vittime che in qualsiasi altra parte del mondo. In questo che è uno dei 15 Stati più poveri del mondo l'emergenza-sieropositività ha dimensioni da piaga biblica: 70mila morti all'anno; 500mila orfani per Aids; un solo pediatra per l’intero Paese e un rapporto medici/popolazione di un dottore per 94mila abitanti. Se poi consideriamo che l'80% dei 12 milioni di residenti in Malawi vive in sperduti villaggi dell'Africa sub-sahariana, si capisce come qui l’esistenza prescinda completamente dal concetto di sanità. La malattia rischia così di assumere i contorni di un evento naturale a cui è «inutile» tentare di opporsi. Per abbattere questo senso di rassegnazione è sorto «Project Malawi» voluto da Banca Intesa, Fondazione Cariplo, Comunità di Sant'Egidio, Save the Children e Cisp.
Dopo 12 mesi la pianta di Project Malawi sta dando frutti rigogliosi. Rijoise, ad esempio, è la prima bimba nata sana da una mamma sieropositiva curata proprio nell'ospedale di Mtenga Wa Tenga costruito con gli iniziali tre milioni di euro stanziati all'interno di un piano «senza limiti di tempo e di finanziamenti».
«Andremo avanti per tutti gli anni necessari per raggiungere l'obiettivo di fare del Malawi un paese più evoluto sotto il profilo sanitario, economico e sociale», è l'impegno dell'amministratore delegato di Banca Intesa, Corrado Passera.
L'inaugurazione dell'ospedale di Mtenga Wa Tenga e del laboratorio di biologia molecolare a Blantyre dimostra che il percorso è iniziato e che, grazie alla Comunità di Sant'Egidio, il «Modello Dream» (un «sogno» che in realtà è l’acronimo di Drug Resource Enhancement Agains Aids End Malnutrition) è già una realtà: centinaia i pazienti sieropositivi in cura e presto saranno migliaia gli uomini e le donne cui verrà chiesto di essere sottoposti al «test rapido» per individuare i soggetti da seguire con maggiore attenzione.
Project Malawi prevede entro il 2008 la costituzione di una rete sanitaria nazionale composta da 3 laboratori di biologia molecolare e 10 centri salute. Un «pacchetto rilancio» che include l’assistenza agli orfani, un’area di educazione affidata agli scout Magga-Sam e la pianificazione di interventi a favore della microfinanza locale.
«Sono stati tenuti corsi di formazione in ognuna delle aree di intervento del progetto - spiega Mario Marazziti, portavoce della Comunità Sant’Egidio -. Abbiamo deciso di puntare su tecnici e operatori locali, perché solo coinvolgendo direttamente le risorse umane del territorio si può sperare di crescere insieme».
Una strategia condivisibile che però non libera noi «cittadini del mondo progredito» da quel senso di costante inadeguatezza che ci accompagna ogni volta che incrociamo il dramma dei «cittadini del mondo arretrato». Ed è in questo preciso istante che scatta la retorica dei luoghi comuni con frasi che fanno riferimento - tanto per dirne una - alla «bellezza dei bimbi africani» e «all’espressività dei loro occhi». È certo che qualsiasi cosa si faccia per l’Africa, rimane sempre la sensazione che non sia abbastanza.
Una percezione di amarezza con cui si è trovato a fare i conti anche un gruppo di giornalisti che a bordo di un pulmino stava viaggiando sull’unica striscia asfaltata che attraversa il Malawi. È accaduto che improvvisamente tre caprette abbiano invaso la strada finendo sotto le ruote: gli animali erano morti, ma l’autista ha proseguito la corsa dopo essersi fermato un attimo per accertarsi che l’impatto non avesse danneggiato la carrozzeria. Trascorre solo una manciata di secondi, ed ecco che tra i giornalisti si insinua il senso di colpa: abbiamo ucciso le capre e non ci siamo nemmeno preoccupati di rimborsare il loro padrone. Rapido consulto, quindi la decisione di tornare indietro per pagare il danno causato. Ci si mette d’accordo per l’equivalente di 35 euro, poco più di 10 euro a capra. L’allevatore è soddisfatto e ci saluta sorridente.
Eppure c’è qualcosa che non quadra. Apparentemente la nostra coscienza è «a posto»: ci siamo comportati da «persone civili». Ma allora perché quella strana «voce di dentro» continua a farci sentire inadeguati? È un’emozione che forse ha a che vedere con il senso di un disagio che non vorremmo mai provare, una zona grigia sulla frontiera dell’anima che eclissa le nostre sicurezze di gente figlia del benessere.
Per spazzare i rimorsi ci vogliono parole impudenti ma realistiche. «La verità è che questo Paese non ha bisogno del buonismo di facciata, ma di una concretezza ai limiti del cinismo - ci dice Gianluca Bizzarro, tra gli imprenditori italiani più impegnati in Malawi -. L’Europa sta dimenticando l’Africa e al suo posto sta subentrando la Cina. I cinesi sono pragmatici, danno e ricevono dalle autorità africane esattamente ciò che conviene a entrambe le parti. E per ottenerlo non vanno tanto per il sottile, non si fanno tutti gli scrupoli che ci facciamo noi. Non si può parlare di rispetto dei diritti umani se prima non si crea una base economica in grado di dare dignità a un intero tessuto sociale».
«Per sostenere il Malawi è impossibile non partire dal contesto sanitario - ribatte il professor Leonardo Palombi, del Dream Program -. Qui l’aspettativa di vita è di appena 37 anni. Nei villaggi si vedono solo bambini e vecchi, manca la generazione di mezzo: proprio quella fondamentale per creare le basi di un futuro sviluppo. Ogni capanna ha davanti un piccolo campo da coltivare: quello con le sterpaglie basse è di chi è malato; quello con le sterpaglie alte è di chi è morto di Aids». Il villaggio di Npote che abbiamo visitato era avvolto da sterpaglie altissime.
Malnutrizione e virus Hiv sono due facce delle stessa medaglia, morire di fame o morire di Aids è la stessa cosa. Per capirlo basta entrare in una delle corsie dell’ospedale di Mtenga Wa Tenga: all’interno, tra parenti e malati, ci sono una ventina di persone. Nessuno parla. C’è un ragazzo di 14 anni accartocciato sul letto e devastato dal morbo: si chiama Joziufo e sembra una foglia secca pronta a essere spazzata dal vento. Incrociare il suo sguardo è un’esperienza che lascia il segno.
Altre scene choc. In Malawi il cibo è merce rara e i ragazzini di Blatyre si nutrono di chips: che non sono patatine, ma cavallette; la città ne è completamente assediata e perfino chi si rifugia in albergo se le ritrova in stanza. Nella capitale Lilongwe, invece, i bambini succhiano dei tronchetti bianchi: che non sono ice cream, ma radici di canne da zucchero.
Lungo la strada che collega Blantyre a Lilongwe centinaia di mercatini con baracche di lamiere dai nomi altisonanti come «Show Room Sifsia», «Minaua Building» e «Amok Enterprise». Ogni tanto sfrecciano i fuoristrada con i simboli di note organizzazioni internazionali specializzate negli «aiuti all’Africa»: «In molti casi è l’Africa che “aiuta” loro e non viceversa - polemizza un volontario di una Ong locale, la Cadecom -. Il business dei finanziamenti fa gola a tanti, ma purtroppo solo in pochi hanno la competenza e gli strumenti per aiutare il popolo dei diseredati. Distinguere i furbi dagli onesti non è impresa facile».

Anche per questa ragione Project Malawi si fonda su persone al di sopra di ogni sospetto che hanno optato per una strategia di lungo periodo.
Anni durante i quali il sole si alternerà alla notte. Nella speranza che sboccino alti «fiori di luce».

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