Il settore bancario affianca la ripresa del sistema Italia. A fine settembre, secondo l'outlook dell'Abi, i prestiti a famiglie e imprese risultavano in crescita su base annua dell'1,4% a oltre 1.350 miliardi di euro, confermandosi per il settimo mese consecutivo un ritmo di incremento annuo superiore all'1 per cento. Come ha rilevato la Banca d'Italia nel bollettino economico trimestrale, «sono aumentati sia i prestiti erogati alle famiglie sia quelli alle imprese industriali e dei servizi». Il miglioramento delle condizioni macroeconomiche ha inoltre continuato ad avere effetti positivi sulla qualità del credito delle banche italiane. L'Abi stima, basandosi sui dati ufficiali di Banca d'Italia, che ad agosto 2017 lo stock di crediti deteriorati, al netto delle rettifiche, sarebbe stato pari a 145 miliardi di euro, in riduzione di 28 miliardi (-16,4%) rispetto alla fine del 2016. Il rapporto tra sofferenze nette e impieghi è sceso al 3,8%, in calo di un punto percentuale rispetto all'anno scorso.
Insomma, il comparto creditizio sta consentendo al Paese di compiere uno scatto in avanti. Se attualmente si stima, sulla base del buon andamento della produzione industriale e degli ordinativi, che il Pil 2017 possa attestarsi al di sopra dell'1,5% previsto dal governo nella Nota di aggiornamento del Def, è anche merito delle banche che non hanno lasciato sole né le imprese né, soprattutto, le famiglie. Dai big come Intesa Sanpaolo, Unicredit, Bnl, Banco Bpm e Ubi fino al mondo delle Popolari, incluse quelle che hanno conservato la forma cooperativa come Popolare di Bari e Popolare di Sondrio, passando per Poste Italiane e per il mondo del credito cooperativo, tutti hanno contribuito a finanziare la ripresa.
Anche se, come osserva Via Nazionale, il flusso dei nuovi crediti in sofferenza sul totale dei finanziamenti erogati è sceso ai valori pre-crisi, c'è, come testimoniato sopra, l'eredità del passato con la quale fare i conti. Da una parte, non si può non notare come la risoluzione delle crisi del Monte dei Paschi e delle banche venete abbia avuto come corollario la scomparsa di un cumulo di sofferenze che sono ora rispettivamente gestite dal Fondo Atlante e dalla Sga controllata dal Tesoro. Un trend positivo registrato anche dall'Eba, l'autorità bancaria europea che ha evidenziato come il Npl ratio, calcolato al netto delle rettifiche, dei gruppi bancari italiani da livelli prossimi al 10%, di fine 2015, sia sceso al 6,4% del secondo trimestre di quest'anno con un ritmo di riduzione sia stato molto superiore a quello del resto d'Europa.
Tutti questi sforzi potrebbero, però, essere vanificati se l'Italia non riuscirà a fare squadra in Europa. La Banca centrale europea, presieduta da Mario Draghi ridurrà progressivamente gli acquisti di titoli di Stato dell'Eurozona (da 60 a 30 miliardi mensili) ma estendendola fino a settembre 2018. Questa circostanza nel medio periodo comporterà un aumento dei rendimenti e una perdita di valore dei Btp che le nostre banche hanno in portafoglio. Ma il vero pericolo sono le nuove linee guida messe in consultazione dalla Vigilanza della Bce guidata dalla francese Danièle Nouy, che ha chiesto svalutazioni integrali dal 2018 sui nuovi prestiti deteriorati non garantiti (in due anni) e garantiti (in sette anni). Un'iniziativa che potrebbe colpire le banche italiane. Il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, ha definito un «terremoto normativo» la sortita di Nouy perché rischia di causare un'ulteriore stretta ai prestiti alle piccole e medie imprese. Patuelli può contare su due alleati di peso.
Il presidente del Parlamento Ue, Antonio Tajani, che ha posto come conditio sine qua non per l'unione bancaria chiedendo che la riduzione degli Npl avvenga «in modo equilibrato». E il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, riconfermato dal governo nonostante le pressioni del Pd. A Palazzo Koch le fughe in avanti di Nouy e della Germania (vera ideatrice della stretta) non sono mai piaciute.
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