«Quel povero rifugio \ fu una forza e una gioia nella vita di Soffici» scriveva Giuseppe Prezzolini ne L’Italiano inutile nel 1953. Sottolineava così come quella terra natia, ritrovata dopo il soggiorno parigino, avesse reso felice l’artista, permettendogli di «vivere nel mezzo della Toscana e dei Toscani, a contatto con il popolo e con la natura». Oggi quella storica terra, Poggio a Caiano (Prato), distesa tra ulivi, palazzi medicei e piccoli borghi, risponde a Soffici creandogli il suo primo Museo. Domani sarà infatti inaugurato il «Museo Soffici Poggio a Caiano» nelle Scuderie Medicee, una magnifica struttura creata a metà Cinquecento dallo scultore e architetto Niccolò Pericoli detto «il Tribolo», acquistata alla fine degli anni ’70 dal Comune di Poggio a Caiano e restaurata da Franco Purini e collaboratori con un intervento iniziato nel ’92 e ancora in corso.
Le scuderie, poste sul lato orientale della famosa Villa dell’Ambra fatta costruire da Lorenzo il Magnifico e dipinta dai più famosi artisti tra il Quattro e il Settecento, ospitavano i cavalli al piano terra e i cavalieri al piano superiore. Al loro posto ci sono adesso una ricca biblioteca specializzata, una sala conferenze, un’area espositiva, una pinacoteca, che insieme costituiscono un centro studi nuovo e dinamico, riflesso di una personalità moderna e internazionale, capace di svegliare un’Italia ancora addormentata.
Soffici, toscano di forte tempra, nasce nel 1879 a Rignano nel Valdarno superiore: 130 anni fa, giusta ricorrenza per la nascita del Museo. E lì passa la «fanciullezza», come racconta nell’autobiografico Autoritratto d’artista italiano nel quadro del suo tempo, quattro volumi pubblicati da Vallecchi negli anni ’50. Comincia a dipingere sin da piccolo sui muri di casa e a interessarsi di poesia e letteratura alla scuola del parroco del paese. Studia poi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, entra nella cerchia degli intellettuali fiorentini e fonda un giornale letterario, La Fiamma, soli tre numeri. Ma è a Parigi, dove va nel 1900, per soggiornarvi più volte, che fa la sua vera e dura gavetta: fame nera e freddo. Conosce l’avanguardia, visita i musei, scrive e disegna su giornali umoristici, espone agli Indépendants.
Quando torna a Poggio a Caiano nel 1907 per stabilirvisi sino alla fine (tranne brevi interruzioni per la guerra, motivi politici e giornalistici), è un fiume in piena. Fonda riviste come La Voce nel 1908 con Papini e Prezzolini, Lacerba con Papini nel 1913, La Vraie Italie nel 1919 ancora con Papini, Rete mediterranea nel 1920. Attraverso scritti e mostre pionieristiche fa conoscere in Italia la pittura impressionista, cubista, di Cézanne e di altri artisti, scrive libri e testi teorici su movimenti come il futurismo. Intanto dipinge figure, paesaggi, nature morte, ritratti passando attraverso diverse esperienze artistiche. Il piccolo Poggio a Caiano diventa un cenacolo di cultura, dove si ritrovano intellettuali di tutto il mondo.
Un percorso letterario, artistico e umano eccezionale, di cui il Museo offre un’importante sintesi. Nella biblioteca sono raccolte tutte le prime edizioni delle opere a stampa, la collana completa delle riviste dirette da Soffici o alle quali ha collaborato, una raccolta della bibliografia critica e un archivio di immagini e documenti. Un’operazione di respiro, in linea con il programma di studi e ricerche che il Comune di Poggio a Caiano promuove da tempo, affiancato dal ’92 dall’Associazione Ardengo Soffici.
Nella pinacoteca sono raccolti trenta emblematici dipinti, prestati da raccolte pubbliche e private, che testimoniano l’attività del pittore dal 1904 agli anni ’60. Altre se ne avvicenderanno nel tempo in una specie di insolito «museo mobile». Dipinti che presentano tutti i momenti della vicenda artistica, dalle prime prove alle esperienze parigine, dall’adesione al futurismo al ritorno all’ordine. E tutti i temi, dai ritratti di famigliari - i figli, la moglie - ai luoghi, l’amato borgo toscano, con le sue case e i contadini, ripreso in tutti i momenti, persino sotto la neve. Ci sono le nature morte e i fiori che Soffici teneva sul tavolo della sua casa. Una casa che compare sempre, persino in quel Trasporto funebre del 1910, in chiave impressionista, con una strada che passa di fronte alle finestre dell’artista.
C’è pure l’interno, mimetizzato sullo sfondo di una Cena in Emmaus del 1941, ambientata nella cucina: un’edicola con ripiani su cui posano le pentole, uno stipo di noce per le stoviglie e la finestra sul giardino.mtazartes@tele2.it
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