Ritorno alla pittura ma con poca figura

Molte opere interessanti e qualche delusione Gradito ritorno del Padiglione italiano con il «veterano» Penone e il giovane Vezzoli Ma i nostri artisti sono in minoranza

da Venezia
È doveroso anzitutto salutare, a questa 52ª Biennale di Venezia, il gradito e opportuno ritorno del Padiglione Italiano, arbitrariamente soppresso dal ’99. Questo si deve alla sensibilità del presidente Croff. L’Italia non ha tradito le aspettative e con un intelligente lavoro del giovane Francesco Vezzoli e una splendida sala del veterano Giuseppe Penone ha riconquistato centralità e autorità, pur nella decentrata collocazione. Merito della curatrice Ida Gianelli, che ha dato una giusta indicazione: mai più padiglioni italiani affollati da venti artisti in una sola sala.
Robert Storr è il primo critico statunitense chiamato alla direzione della Biennale. Ha scelto un bellissimo titolo, colto ma semplice, Pensa con i sensi - Senti con la mente, un concetto molto aderente all’arte della contemporaneità. La sua grande mostra, che si snoda tra l’ex Padiglione Italia, i Giardini e le Corderie dell’Arsenale, si avvale di un allestimento di grande pulizia, molto nitido nelle sale personali, un po’ meno in quelle dove sono rappresentati più artisti. È un’esposizione di carattere prettamente museale all’interno della quale giganteggia, e non solo per le dimensioni della sala, la figura di Sigmar Polke con le sue grandi pitture brune dai timbri metallici realizzate con pigmenti viola e tecniche miste su tessuti. È anche una sala emblematica di ciò che appare caratteristico di questa edizione: un prepotente ritorno alla pittura, ma non necessariamente alla figurazione.
Paradossalmente, infatti, la prova di pittura più «emotiva» ci viene dal rigoroso Robert Ryman che ha «sporcato» e impresso movimento ai suoi cambi di quadri. La pittura torna con Kippenberger, con Richter, con il gioco di pannelli di Ellsworth Kelly (gli rende omaggio la giovane Hugonnier), la Rothenberg e perfino con Jenny Holzer. Il disegno appare con la Bourgeois, si anima nel video di Tabaimo, invade i muri con Pettibon, una tendenza a rientrare a parete confermata da Sol Lewitt, Dan Perjovschi, Odili Donald Odita. In questa stessa mostra centrale Storr ha inteso creare un collegamento con le altre parti della Biennale: c’è il richiamo all’Africa con Chéri Samba; c’è la tenda d’oro di Felix Gonzales Torres, di cui il Padiglione Americano presenta una bella retrospettiva; c’è il melanconico, bellissimo lavoro della francese Sophie Calle, sulla morte della madre.
Nel padiglione dove siamo stati accolti dalla grande scritta di Lawrence Weiner e dalle maschere sospese di Nancy Spero, segnaliamo anche l’installazione di Fred Sandback, il video di Rainer Ganhal e le due belle sale di Bruce Nauman e di Giovanni Anselmo, un grande italiano che torna dopo il Leone d’oro del ’90 con una suggestiva installazione lirica e potente al tempo stesso. Emily Jacir parte da una piccola foto in bianco e nero con l’uccisione di un militante palestinese a Roma nel ’72 e, alle spalle di essa, ne ricostruisce la storia.
Ottimo il Padiglione d’Israele con la giovane Yehudit Sasportas con l’installazione I guardiani della soglia pensata per l’edificio modernista in stile Bauhaus: si tratta di un lavoro sulla labilità dei confini. La città si riappropria del Padiglione Venezia dedicandolo al suo massimo artista, Emilio Vedova, attraverso l’opera del Leone d’oro del ’97 e l’omaggio del tedesco Baselitz. Tra i padiglioni, uno dei migliori è quello della Francia dove Sophie Calle parte da una frase ricevuta via e-mail, «prenditi cura di te», e chiede a 107 donne di interpretarla, di capire al suo posto. La Gran Bretagna presenta la ex trasgressiva Tracy Emin, mentre la Germania rende un tributo a una grandissima artista, Isa Genzken, che non delude, mettendo in scena la storia stessa dell’edificio.
Buona la prova della Sosnowska al Padiglione Polacco. Deludono invece il Padiglione Cinese e il nuovo Padiglione Africano che si apre con la mostra Check List Luanda Pop. Più interessanti gli africani presentati nel proseguimento della mostra alle Corderie, El Anatsui (originario del Ghana, vive in Nigeria) e il fotografo Malick Sidibé, maestro della fotografia africana di oggi, che riceve il Leone alla carriera.
La fotografia è protagonista alle Corderie, come la pittura ai Giardini, mentre si riduce rispetto ad altre edizioni la presenza dei video. Da segnalare le scritte al neon dell’algerino Adel Abdessemed con il gioco di parole tra Exit e Exil, i bellissimi diari dipinti dall’argentino Kuitca, le sculture di cartapesta di West, il video di Yang Fudong, Valie Export, Rhoades, Monastirsky e la bella installazione di Nedko Solakov.

Per finire con gli italiani: il giovanissimo Nico Vascellari vince il premio per la giovane arte della Darc, mentre l’italiano di New York Luca Buvoli apre le Corderie e Paolo Canevari opera un radicale rinnovamento del suo lavoro con un forte video girato a Belgrado. La chiusura per un grandissimo fotografo italiano, Gabriele Basilico e le sue storiche immagini di Beirut.

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