Rolling Stone La storia del punk attraverso le note degli Stranglers

Per alcuni fu solo «un pittoresco fenomeno di costume»; per altri rappresentò invece «un'autentica rivoluzione». Al di là di tutto, la breve stagione del punk inglese - quella originale, con il suo carico di rabbia genuina, energia e sfrontatezza a tutto volume - ebbe quantomeno il merito di scuotere i basamenti del rock dei dinosauri e delle megaproduzioni pop anni Settanta.
Del punk made in England del 1977 la storia ci ha lasciato in eredità tre album simbolo: «Never Mind The Bullocks» dei Sex Pistols, «The Clash» dei Clash e «Damned Damned» dei Damned. Nello stesso anno, gli Stranglers - Hugh Cornwell (voce e chitarra); Jean-Jacques Burnel (basso), Dave Greenfield (tastiere) e Jet Black, all'anagrafe Brian John Duffy (batteria) - incisero non uno, bensì due album: «IV Rattus Norvegicus» e «No More Heroes». Entrambi finiti ai vertici delle classifiche britanniche, seguivano i dettami del punk-rock della prima ora, anche se con non poche stravaganze gotiche e tenebrose. Ben presto però, con l'avvento della new wave, la band, subito di culto, abbandonò l'introversione acuta e i testi cupi e oltraggiosi degli esordi in favore di sonorità meno buie e più melodiche, che avrebbero contrassegnato tutta la loro carriera futura, tra inevitabili alti e bassi. Trent'anni e passa dopo, gli Stranglers superstiti - Burnell, Greenfield e Black - sono ancora in tour (con loro c'è ora il cantante e chitarrista Baz Warne, colui che ha rimpiazzato il mitico frontman Cornwell).
Ma forse non sarà così per molto. «Il nostro batterista ha una certa età ormai (è del 1938, ndr) ed è impensabile protrarre l'attività live chissà per quanto tempo ancora», ha ammesso di recente Burnel.

Una ragione in più per seguire la tappa milanese del «Greatest hits tour» di stasera (ore 21) al Rolling Stone (obiettivo: ripercorrere le hit del proprio ricchissimo canzoniere): già, perché gli irriducibili del punk sembrano ormai prossimi a dire addio alla musica dal vivo.

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