Casapound non teme lo sgombero, Di Stefano: "Noi pronti a restare"

Il leader di Casapound, Simone Di Stefano, promette battaglia: "Siamo qui da 16 anni e abbiamo intenzione di restare qui ancora". E sul sequestro: "È un attacco politico, la Raggi ha bisogno di recuperare voti a sinistra"

Casapound non teme lo sgombero, Di Stefano: "Noi pronti a restare"

"Contro di noi è in corso un attacco politico da parte della magistratura di sinistra". Simone Di Stefano, leader di Casapound punta il dito contro Eugenio Albamonte, il sostituto procuratore che ha richiesto, assieme al procuratore aggiunto Francesco Caporale, il provvedimento di sequestro preventivo dello stabile di via Napoleone III.

"Albamonte è il successore di Luca Palamara all’Anm, ora non è più presidente ma fa parte anche lui di Area, una corrente della magistratura che non si è sforzata neppure di cambiare il carattere grafico sul proprio sito rispetto a quello del Pd", dice il segretario del movimento ai giornalisti durante un punto stampa organizzato all’ingresso del palazzo occupato. Le porte dell’edificio sono presidiate da decine di militanti che si sono radunati per una manifestazione improvvisata dopo la notizia del sequestro e di un’indagine per "occupazione abusiva" e "odio razziale" in cui sarebbero coinvolte 16 persone.

"Non c’è nessuno sgombero in atto e al momento non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione", spiega Di Stefano che annuncia di voler fare "ricorso nelle sedi opportune". "Ci sono decine di immobili occupati a Roma – attacca - questa è un’operazione politica con cui si vuole portare Casapound in cima alla lista degli sgomberi da fare". "Non si capisce – prosegue Di Stefano - perché bisogna partire da qui, nessuno dei palazzi nella lista della prefettura è stato ancora sgomberato, forse perché la Raggi ha bisogno di recuperare voti a sinistra?".

E sulle minacce firmate contro la sindaca di Roma, che sui social ha esultato per l’avvio dell’iter che porterà allo sgombero dello stabile occupato nel 2003 dal movimento di destra, taglia corto: "Il web è pieno di matti, i social danno voce a tanti imbecilli, la Questura faccia le sue valutazioni, speriamo non le venga mai torto un capello". Su un eventuale sgombero però gli attivisti hanno le idee chiare. "Siamo qui da 16 anni e abbiamo intenzione di restare qui ancora, vedremo cosa succederà quel giorno ma abbiamo intenzione di mantenere occupazione e palazzo", fa sapere Di Stefano.

"Questo spazio – rivendica - è l’unico punto di aggregazione culturale di questo quartiere". L’atteggiamento nei confronti del Campidoglio resta di chiusura totale: "L’ultima volta che abbiamo assistito allo sgombero di una palazzina occupata da italiani le soluzioni alternative offerte dal Comune sono stati un campeggio e un campo nomadi". "Non accettiamo le proposte della Raggi", incalza Di Stefano, mentre la vicenda scuote la politica.

Mentre il M5S esulta per aver "cacciato" dall’Esquilino i "fascisti del terzo millennio", il senatore di Fratelli d’Italia, Ignazio La Russa difende le "tartarughe": "Su oltre cento immobili occupati a Roma, in alcuni casi teatri anche di attività poco chiare, non leggo né sento nulla, non vorrei ci fosse un pregiudizio politico o ideologico del M5S e della sinistra alla base di questo accanimento". Dello stesso avviso Laura Corrotti, consigliere regionale della Lega che chiede di "procedere con lo sgombero di tutti gli edifici attualmente occupati se si vuole mettere veramente un freno all’illegalità".

Nel frattempo il Pd capitolino rivendica che il processo che ha portato al provvedimento emesso oggi dal Gip è stato innescato da una mozione a firma Dem, facendo irritare i consiglieri pentastellati che

reclamano la paternità dell'operazione. E c'è pure chi, come l’Anpi e Tobia Zevi, presidente dell’Osservatorio "Roma! Puoi dirlo forte", ora chiede di alzare il tiro e procedere allo scioglimento del movimento.

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