La vita di Marina, 38 anni, madre di quattro figli, assomiglia a un'eterna corsa ad ostacoli. Appena il tempo di lasciarsene uno alle spalle, ed ecco che la sorte le mette di fronte nuove difficoltà. È un logorio continuo, iniziato cinque anni fa con la perdita del lavoro. I soldi messi da parte finiscono presto. Non ci sono più risorse neppure per fare la spesa o comprare un giocattolo ai bambini, figuriamoci per l'affitto. Così arriva il primo sfratto.
L'occasione per rialzarsi è il buono casa erogato dal Comune di Roma, una misura di sostegno per le famiglie in emergenza abitativa (circa 12mila) alle prese con la sfiancante attesa di un alloggio popolare. L'amministrazione si fa carico del canone di locazione, la caparra e l'allaccio delle utenze. Marina ritrova la serenità. Ma è solamente una parentesi. Dopo appena due anni e mezzo, infatti, è costretta a fronteggiare l'ennesimo imprevisto. "La proprietaria non pagava il mutuo - ricorda Marina - e quindi la banca le ha pignorato l'appartamento e siamo stati sfrattati per la seconda volta". Marina deve ricominciare tutto da capo, ma non si perde d'animo. "Ci siamo immediatamente messi in moto - racconta Maria Vittoria Molinari, sindacalista di Asia Usb - per raccogliere la documentazione e chiedere la riattivazione del buono casa, ma qualcosa è andato storto". Il Comune chiude i rubinetti. E Marina, che nel frattempo si è trasferita in una casa in via di Borghesiana, viene di nuovo messa alla porta. È il terzo sfratto in cinque anni. "Persino gli agenti che lo hanno eseguito - ricorda Marina - erano dispiaciuti per me, gli si leggeva nello sguardo".
"Mi sono arrangiata chiedendo ospitalità a degli amici - spiega - perché l'unica soluzione che mi hanno prospettato è stata una casa famiglia". Un'ipotesi che la donna non può nemmano prendere in considerazione, per il bene dei suoi figli che oggi hanno 4, 12, 14 e 18 anni. In particolare del più piccolo, Brian, affetto da autismo. "È malato - dice con la voce rotta dalla commozione - e in casa famiglia si aggraverebbe". Lei, che a fine mese mette insieme circa 400 euro, riesce a malapena a pagargli le cure. "I medici - spiega agitando i referti - dicono che avrebbe bisogno di fare venticinque ore di terapia a settimana, ma io me ne posso permettere solo due". Ed i continui stravolgimenti a cui è stato sottoposto il bimbo lo hanno già segnato profondamente. "Brian è abitudinario, ci mette tempo prima di ambientarsi, solo dopo un anno - spiega - si era finalmente abituato a fare le scale di casa, i suoi progressi sono lenti e ogni cambiamento comporta una regressione".
Marina è disperata: "Cosa aspettano? Che mi butto sotto alla metro?", si sfoga. Maria Vittoria Molinari, che l'ha presa sotto la sua alla protettrice, invece, è indignata. "Abbiamo sollecitato con forza diversi incontri con il dipartimento Politiche abitative ma - denuncia - la volontà di risolvere il problema non c'è stata". Una situazione assurda e dolorosa.
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