Il deposito Atac ostaggio dei rom: "Prima o poi ci scappa il morto..."

Alcuni nomadi del campo di via Candoni puntano il dito contro la comunità rom bosniaca per il rogo di sette bus nel vicino deposito Atac: "Rubano e bruciano ma sono pieni di soldi e violenti, prima o poi ci scappa il morto"

Il deposito Atac ostaggio dei rom: "Prima o poi ci scappa il morto..."

L'incendio dei sette bus parcheggiati nel deposito Atac di via Luigi Candoni, alla Magliana, potrebbe essere di natura dolosa. È questa la pista principale seguita dagli investigatori che stanno indagando sul rogo divampato martedì scorso nella rimessa.

Chi poteva avere interesse a mandare in fumo quei mezzi in attesa di rottamazione? Non ha dubbi un dipendente della municipalizzata dei trasporti: "Sicuramente sono stati i rom", ci confessa chiedendo di rimanere anonimo per paura di ritorsioni. Lavora nel deposito da anni, e ormai ha imparato a conoscere i suoi vicini di casa. Sa di cosa sono capaci. La rimessa, infatti, confina con uno dei "villaggi della solidarietà" creati nel 2000 dalla giunta Rutelli. Era un campo modello, giura chi ci abita, finchè non sono arrivati i bosniaci sgomberati qualche anno più tardi dal Casilino 900.

Da allora sono iniziate le faide interetniche ed i continui assalti al vicino deposito Atac. C'è stato anche un curioso episodio di "sequestro" ai danni della centralina dell'Acea che rifornisce la rimessa, inspiegabilmente posizionata all'interno dell'insediamento. "Lanciano pietre contro i mezzi in corsa e le auto private, rubano la benzina e le batterie delle vetture, scherniscono noi autisti, è una storia che si ripete identica ogni giorno, siamo sotto scacco", spiega la nostra fonte, prima di aprire le porte del mezzo allo sciame di nomadi in sosta alla fermata.

Un presidio fisso dei vigili urbani controlla una per una le auto, per evitare che vengano introdotti nel campo rifiuti destinati alla combustione. Ci facciamo largo tra le macchine che attendono il lasciapassare dei caschi bianchi ed entriamo nell'insediamento per fare qualche domanda. Sullo sfondo ci sono i mezzi arsi, che svettano al di là della ringhiera nel bel mezzo del parcheggio della rimessa. "E cosa ne sappiamo noi di chi è stato? A quell'ora dormivamo", afferma una ragazzina. "Ma è accaduto tra le 20 e le 21", la incalziamo, ottenendo uno sguardo severo come risposta.

Qui nessuno sembra sapere nulla. La versione più in voga è quella che ci ripete una donna bosniaca sulla sessantina: "Danno sempre la colpa ai rom, ma noi non siamo cattivi". Alla fine però c'è qualcuno che si sbottona e, abassata la telecamera, accetta di parlare: "Sono stati i bosniaci, rubano, spaccano tutto e danno un sacco di problemi". "È inutile che chiedete in giro, nessuno vi dirà niente, hanno paura", continua uno degli abitanti della baraccopoli.

Non è il solo nell’accampamento a dire di sapere chi è stato ad appiccare di rogo. "Se vi porto a casa di quello che ha dato fuoco agli autobus vedrete che la madre ha catene d'oro e gioielli, ma nonostante questo continuano a fare danni contro il deposito", spiega un altro nomade. "Alla polizia – aggiunge – non possiamo dire nulla, altrimenti ci scappa il morto". È d'accordo anche Ion Bambalau, il capo della comunità rom romena che abita nell’accampamento. Anche lui soppesa ogni parola e si guarda bene dal fare nomi. L'atmosfera è tesa.

"Nel campo ci sono delle teste calde che infangano la reputazione di noi rom onesti", denuncia l'uomo. "Rubano, spacciano, sono violenti, quando litigano fra di loro si picchiano come animali", giura Bambalau. "Entrano nel deposito, rubano le batterie, rubano il gasolio degli autobus per rivenderlo nel campo e poi danno fuoco ai mezzi, dicono di farlo per guadagnare qualche soldo, ma – spiega l’anziano - la verità è che i genitori di questi ragazzi sono ricchi". Ci invita a fare un giro nella parte del campo dove abita la componente bosniaca: "Lì ci sono auto da centomila euro".

"La polizia dovrebbe allontanare da qui i soggetti problematici, per il bene di tutti", conclude il capo dell'insediamento. È preoccupato. Tutti, compreso lui, hanno paura di ritorsioni da parte di chi detta davvero legge nell’accampamento. L'episodio ha riacceso i riflettori sul piano di superamento dei campi rom annunciato dalla sindaca Virginia Raggi nel 2017.

"Dopo la brutta figura al Camping River e lo stallo de La Barbuta e Monachina, quanto successo alla Magliana conferma il fallimento della giunta Raggi sulla chiusura degli insediamenti ", attacca Marco Palma, consigliere di Fratelli d'Italia del XI Municipio. Dietro di lui c'è una bandiera del Comune di Roma che sventola sdrucita all'ingresso della rimessa. "Ecco, dopo quattro anni di amministrazione Raggi la città è ridotta così, come quello straccio lacero", denuncia.

"La politica deve prendersi le sue responsabilità ed intervenire

per sanare questa situazione che penalizza non solo l’azienda capitolina del trasporto pubblico – conclude – ma anche quei rom onesti che vivono nel campo di via Candoni e da anni cercano di integrarsi".

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