Una donna è morta dopo una diagnosi errata e la sua cartelle clinica è misteriosamente scomparsa nel nulla. A processo sono adesso finiti due medici del pronto soccorso di Velletri, Le accuse sono omicidio colposo, soppressione di atto pubblico e falso ideologico. La paziente è deceduta nella struttura ospedaliera il 24 luglio del 2015. la 71enne era stata accompagnata al pronto soccorso nella serata del 22 luglio 2015, in seguito a un malore. Dopo essere stata sottoposta a una serie di accertamenti, era stata dimessa il giorno seguente verso l’ora di pranzo. La diagnosi emessa era quella di crisi ipotensiva. Le sue condizioni sono però andate via via peggiorando, i familiari della donna hanno quindi chiamato l’ambulanza che ha trasportato l’anziana ancora una volta al pronto soccorso. Dove poco dopo è morta. I parenti della signora hanno deciso di sporgere denuncia e la procura di Velletri ha aperto un’inchiesta.
La diagnosi errata
I medici avrebbero sbagliato la diagnosi sulla paziente, che sarebbe quindi stata curata per una patologia differente rispetto a quella riscontrata dall’autopsia. Questa è la tesi dello Studio Legale Sgromo che assiste i familiari della 71enne. Dall’esame autoptico la causa del decesso sarebbe stata peritonite da perforazione di ulcerazione duodenale, alla quale poi si associava gastroduodenite emorragica e una cardiopatia ischemica. Queste patologie, secondo quanto denunciato dalla famiglia della donna, non sarebbero mai state rilevate durante il ricovero. I medici che l’hanno avuta in cura l’avrebbero curata per una presunta malattia di origine cerebrale. I due camici bianchi sono stati rinviati a giudizio il 4 luglio 2019 e il processo si è aperto lo scorso 15 gennaio. Il 24 giugno è stata fissata la prossima udienza.
La donna è morta in ospedale
Nel decreto che ha disposto il rinvio a giudizio si legge che i due medici “in concorso tra loro e in cooperazione colposa” non avendo eseguito un'anamnesi accurata, non avendo eseguito né una tac, né un'ecografia addominale, e non avendo diposto il ricovero, ne“cagionavano per negligenza, imprudenza e imperizia” la morte. Inoltre, sempre secondo l’accusa, i due medici avrebbero deciso di nascondere in un armadietto la cartella clinica originale. Nella quale vi era riportato il ricovero della paziente e tutti gli esami a cui era stata sottoposta durante la degenza. Nel decreto si legge che i due professionisti, in qualità di pubblici ufficiali “occultavano un atto pubblico vero al fine di conseguire il vantaggio di impedire o comunque ritardare gli accertamenti in ordine alle loro responsabilità”. Gli indagati avrebbero anche affermato che la donna aveva rifiutato il ricovero presso un’altra struttura ospedaliera. I familiari hanno invece dichiarato che né loro, né la donna, erano stati informati di questa eventuale possibilità.
L'avvocato Gianfranco Annino e l'avvocato Renato Giugliano, difensori di fiducia degli imputati, hanno sottolineato all’Adnkronos che sono convinti dell'assoluta estraneità dei loro assistiti, per loro due straordinari professionisti che, come gli altri dottori, lavorano in condizioni molto difficili. I legali hanno inoltre aggiunto come “la stessa prima consulenza tecnica dei medici legali incaricati dal pm aveva escluso ogni possibile omissione o responsabilità penale dei nostri assistiti.
Poi il pm ha fatto fare un'altra valutazione, una consulenza sulla base delle carte, che ha ipotizzato una remota possibile omissione e sulla base di questo si è proceduto”. La sparizione della cartella clinica sarebbe stata per loro solo un malinteso. Anche perché quella originale è riportata anche su computer e non può essere modificata.Segui già la pagina di Roma de ilGiornale.it?
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