Ha promesso di far assumere suo figlio al Quirinale in cambio di 11mila e 500euro. Questa sarebbe la cifra chiesta dal capo del settore autorimessa della Presidenza della Repubblica, il 60enne Marco Calabrese, a un imprenditore agricolo, da ben 30 anni al servizio della sicurezza del Papa. Secondo quanto riportato dall'edizione romana del Corriere della sera, l’assunzione in questione non sarebbe mai avvenuta, a causa della mancata capacità d'influenza tra i funzionari del Colle. Calabrese è finito comunque sotto processo. Al capo della rimessa del Colle è stato contestato il reato di millantato credito, ovvero il delitto commesso da chiunque, vantando un'efficace influenza, riceve denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione.
A sporgere denuncia riguardo le promesse fatte da Calabrese, e non mantenute, è stato monsignor Sergio Siddi, che nel 2019 era cappellano militare al Quirinale. Il Vicario generale dell’Ordinariato ha raccolto la confessione di Giuliano Berloni, ex ispettore della Gendarmeria Vaticana, che aveva pagato oltre 11mila euro per mettere a posto il figlio e trovargli un lavoro. Ascoltato il racconto, monsignor Siddi ha deciso di rivolgersi al reparto reggimento corazzieri dei carabinieri. Il procuratore aggiunto ha quindi avviato l’inchiesta che alla fine è arrivata in tribunale. Agli atti ci sono anche le registrazioni dei colloqui avvenuti tra Calabrese e Berloni.
Un lavoro in cambio di soldi
Nel 2015 l’imprenditore aveva contattato l’imputato raccontandogli che il figlio aveva fatto domanda per essere assunto alla Presidenza della Repubblica, sottolineando il fatto che non aveva però avuto alcuna risposta. Secondo quanto asserito dall’accusa, il capo della rimessa del Colle avrebbe a quel punto avanzato l’idea di un percorso preferenziale per ottenere l’assunzione del ragazzo: mille euro al consigliere del presidente della Repubblica, del quale non viene però mai fatto il nome. L’imprenditore si è fidato di Calabrese e gli ha consegnato i soldi. Le indagini hanno appurato che il capo della scorta non ha mai avuto nessun contatto con il consigliere del presidente della Repubblica. Nonostante ciò, Calabrese ha continuato a chiedere il denaro, assicurando l'arrivo del posto di lavoro.
Bonifici e contanti per un pugno di mosche
Tramite bonifici, anche sul conto corrente della moglie di Calabresi, Berloni paga. Il primo è di 3mila e 500 euro, poi due pagamenti da 2mila e 500 euro ciascuno, e un quarto, questa volta in contanti, di 2mila euro, risalente al 30 giugno del 2017. A quel punto l’imprenditore inizia a sentire puzza di bruciato. Anche perché dal Quirinale non arriva alcuna notizia.
Prima mossa di Berloni è quella di registrare le conversazioni. In una di queste si sente Calabresi dire: “Gli giro i soldi dal mio conto corrente, quant'è stupido”, riferendosi al consigliere della presidenza, con cui lui, in realtà, non ha mai avuto contatti.Segui già la pagina di Roma de ilGiornale.it?
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