Gustamundo, il ristorante buonista che dà lavoro ai rifugiati

A pochi chilometri da piazza San Pietro, il locale “Gustamundo” sfama residenti e turisti con piatti provenienti da 20 Paesi diversi cucinati da cuochi d’eccezione: i richiedenti asilo che vivono nella Capitale

Gustamundo, il ristorante buonista che dà lavoro ai rifugiati

A Roma gli amanti della cucina etnica possono fare il giro del mondo seduti a tavola in un unico locale. A pochi chilometri da piazza San Pietro, in via De Vecchi Pieralice, nel quartiere Valle Aurelia, “Gustamundo” sfama residenti e turisti con piatti provenienti da 20 Paesi diversi. Cucinati tutti da cuochi d’eccezione: i richiedenti asilo che vivono nella Capitale.

Il progetto Gustamundo: i rifugiati diventano chef

“Gustamundo” è un progetto che nasce per volontà del titolare del ristorante messicano “El Pueblo” Pasquale Compagnone che due anni fa ha avviato una collaborazione con vari centri d’accoglienza per organizzare cene multietniche preparate da migranti, rifugiati e richiedenti asilo. “Il primo anno abbiamo avviato una conoscenza globale di tutti i ragazzi, il secondo anno è stata fatta una scrematura in base alle caratteristiche gastronomiche di ognuno. Abbiamo tirato su un gruppo di circa 25-30 persone di aree differenti che gestisce il nostro ristorante dove si trovano piatti di 15-20 nazionalità diversi”, ci racconta Compagnone che intervistiamo in occasione di una serata di beneficenza a favore di Ilyas, un rifugiato pachistano fuggito dal Kashmir quattro anni fa e che ora vorrebbe portare in Italia anche i suoi due figli piccoli.

Le storie dei rifugiati: dal Pakistan al Gambia, ecco perché sono in Italia

Una serata speciale che vede Ilyas dietro ai fornelli insieme ad altri due richiedenti asilo, l’iraniano Amir e il gambiano Buba. Ognuno di loro, prima dell’arrivo degli affamati clienti, ci racconta la sua storia. Ilyas, che vive nel centro d’accoglienza di Poggio Mirteto da quattro anni, parla poco la nostra lingua ma dalla luce nei suoi occhi traspare un grande senso di riconoscenza, soprattutto per “Pasquale” che lo ha inserito dentro Gustamundo. “Tanti miei connazionali sono andati in Francia, Belgio e Germania ma a me piace tanto l’Italia…”, ci dice mentre ci spiega che sua moglie è morta e i suoi due figli minorenni vivono ancora in Pakistan insieme alla nonna di 80 anni gravemente ammalata. È lui a cucinare le polpette di carne speziata e verdure tipiche del Kashmir.

Amir, invece, era un cuoco di professione già in Iran e, quando lo intervistiamo, ha appena finito di preparare il suo piatto a base di agnello, lenticchie e cannella. “Facevo circa 200 piatti al giorno per catering ma la mia famiglia vive ancora in Iran e non posso raccontare nel dettaglio il mio passato”, ci spiega. Al suo arrivo in Italia è finito in un centro d’accoglienza “molto…brutto” mentre ora abita in un centro Sprar dove sta studiando l’italiano. “È importante se voglio trovare lavoro”, sottolinea. In lui notiamo il desiderio di andare avanti e, a telecamere spente, ci confida la sua speranza che Donald Trump riesca a contrastare il regime degli ayatollah. E su Matteo Salvini dice: “Secondo me sta facendo bene per gli italiani perché ho sentito che ora ci sono 4 milioni di disoccupati in Italia”. E con un italiano alquanto stentato aggiunge: “Se io ero Salvini nel mio Paese anche io faccio così”. Insomma, anche l’iraniano Amir, se fosse al posto del vicepremier leghista, chiuderebbe i centri d’accoglienza e cercherebbe una soluzione per il problema dell’immigrazione “perché chi viene in Italia non ha un’altra scelta e quando arriva qui cerca una vita migliore. È normale”.

La storia di Buba è simile a quella di molti migranti che sbarcano sulle coste della Sicilia dopo aver attraversato vaste aree del continente africano. “Ai miei connazionali auguro che nessuno faccia quel viaggio perché è molto pericoloso. Ma la Libia è ancora più pericolosa, lì sparano tutti i giorni. Meglio quando gli italiani salvano le persone dal mare”, avverte il gambiano Buba, migrante 26enne che vive in Italia dal 2016 e attualmente abita in un centro d’accoglienza di via Casilina. “L’Italia non è come in Libia dove la gente muore di fame. Qui è meglio, quando siamo arrivati nessuno ci ha picchiati”, aggiunge ma osserva con preoccupazione le misure prese dal ministro Salvini. “Non mi piacciono le leggi contro noi stranieri, siamo tutti persone. Ci sono tanti italiani che stanno lavorando in Gambia e se noi veniamo qui un motivo c’è. Stranieri e cittadini siamo tutti esseri umani”, conclude.

La speranza per il futuro: riuscire a fare buoni affari

Tre storie molto diverse fra loro di tre persone che sperano, attraverso Gustamundo, d’avere un futuro migliore ma “gli affari sono ancora sotto osservazione”, puntualizza Compagnone.

“Le potenzialità del progetto sono molto forti ma gli altri ristoranti di Roma ai quali io ho rivolto l’invito di far cucinare almeno una volta al mese ad uno di questi ragazzi un suo piatto sono scettici”, spiega l’ideatore del progetto che lascia intendere come la sua non sia soltanto un’opera di beneficenza. “I ristoratori romani pensano di fare un gesto di solidarietà e hanno difficoltà nel vedere il richiedente asilo che cucina come una risorsa economica per la loro attività”.

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