Una favela con vista sulle aule del tribunale di Piazzale Clodio. Siamo sulla collina di Montemario, a due passi dal centralissimo quartiere Prati. Da qui, un tempo, si poteva godere di una delle viste più belle di Roma, ma ormai il profilo del Cupolone è coperto dalle sagome delle baracche. Sono decine quelle nascoste fra la boscaglia dell’omonima riserva naturale (guarda il video).
L’ultima bonifica dell’area, che risale al 2016, non è servita a molto. Le casupole, infatti, sono spuntate di nuovo offrendo riparo a Damian Danut Suli, il romeno di 37 anni che lo scorso settembre rapinò e stuprò una donna italiana in via De Pretis, non lontano dalla Stazione Termini. Tra gli “inquilini” della riserva, poi, c’era anche un marocchino di 52 anni trovato lo scorso ottobre in possesso di alcune dosi di hashish e numerosi telefoni cellulari all’interno di una casetta in muratura che aveva occupato abusivamente. Non a caso, ormai, qualunque cosa accada nel quartiere le forze dell’ordine vengono a setacciare le baracche di Montemario. L’area, infatti, è stata battuta anche dopo il tentativo di stupro di una barista della zona da parte di un giovane tunisino.
Lo scenario è simile a quello che ormai caratterizza quasi tutti parchi capitolini. Capanne fatte di cartone, lamiera e canne di bambù, materassi ammucchiati alla rinfusa, fornelli improvvisati e persino una vasca da bagno, posizionata accanto ad alcuni bidoni, in modo tale da raccogliere l’acqua che proviene da un piccolo fontanile. A valle, invece, cumuli di rifiuti giacciono accatastati alla rinfusa. Non è raro che prendano fuoco sprigionando fumi maleodoranti, come hanno più volte denunciato i residenti del quartiere. “Io garantisco per i miei, qui siamo tutte brave persone”, assicura Daniel, rom di nazionalità romena che si è accampato qui da tre mesi con la sua famiglia, in tutto dodici persone. Ci racconta di essere stato espulso dal suo Paese dopo aver scontato una condanna per omicidio. Quindici anni in carcere, poi la diaspora in giro per l’Europa. Finlandia, Svezia, Norvegia, Francia e alla fine Roma e le tende piantate tra via Romeo Romei e quella che i romani chiamano la “Panoramica”.
“Certo – continua – le dita di una mano non sono tutte uguali”. Come a dire che tra gli altri nomadi stanziati alle pendici del monte, un’ottantina secondo i suoi calcoli, potrebbe nascondersi qualche testa calda. “Per vivere frugo nei cassonetti e poi vendo il ricavato nei mercatini mentre mia moglie chiede l’elemosina”, ci spiega. Stesso discorso per altri due occupanti romeni. Sono moglie e marito, lui senza un braccio, fa il questuante, mentre lei si occupa di ordinare e selezionare i frutti del rovistaggio. “L’altro ieri sono venuti i vigili e ci hanno detto che vogliono sgomberare le baracche”, ci raccontano. Per questo nell’accampamento c’è chi si prepara a tornare temporaneamente in Romania e chi, come Daniel, ha in programma di sistemarsi alla meglio poco lontano, per poi tornare appena si saranno calmate le acque. “Dal Comune ci hanno offerto delle soluzioni, ma sono troppo distanti dal centro – si lamenta – invece qui stiamo bene, riusciamo a raggiungere a piedi tutta la città”.
Intanto nelle aree limitrofe le ripercussioni sono inevitabili. “Ci sono state anche delle aggressioni, l’ultima quella della barista”, denuncia Fulvio Accorinti, consigliere municipale della Lega. “Poi c’è l’accattonaggio che, da diverse segnalazioni dei residenti, appare come un fenomeno organizzato”, ci spiega. “Un vero e proprio racket – denuncia – con decine di persone che ogni giorno vengono scaricate nelle vie della zona da piccoli van con targa romena”.
“Non è possibile che ci sia gente che viva in queste condizioni in una città come Roma, per giunta a due passi dal Vaticano”, incalza il consigliere invocando sgomberi e bonifiche. Ma in attesa dell’ennesimo intervento, la collina che sovrasta la Città Eterna resta terra di nessuno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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