“Come si fa ad ottenere il reddito di cittadinanza?”. La rom che incontriamo nel cuore del canneto della Parrocchietta, al Trullo, ce lo domanda con schiettezza. Attorno al lei c’è un villaggio che ogni giorno diventa più organizzato (guarda il video).
Quella che si apre alla vista di chi imbocca i sentieri fangosi che costeggiano via Isacco Newton è una vera e propria cittadella di casupole ben costruite e ordinate dove il viavai degli “inquilini” è costante. Donne e uomini indaffarati ad accumulare e smistare il materiale rovistato nei cassonetti della zona. Vivevano in questo terreno di proprietà dell’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica (Ater) già dallo scorso anno. A marzo però erano arrivate le ruspe e li avevano temporaneamente dispersi. Oggi sono tornati. “Siamo dieci famiglie”, ci spiega la nomade elencando i diversi gradi di parentela che legano tra loro gli occupanti. Per ogni donna c’è un marito e per ognuno ci sono almeno un paio di cugini e fratelli. Comunque, assicura, “non siamo tanti e non rubiamo”.
Sono tutti rom di nazionalità romena che soggiornano nella Capitale per raggranellare l’occorrente, dicono, “da mandare ai bambini che stanno in Romania e per mangiare”. Principalmente alluminio da cui alla fine di ogni mese ricavano una quarantina d’euro. “Lo comprano a dieci centesimi al chilo – racconta – e per guadagnarci qualcosa servono almeno 300 chili”. Guadagni magri per tante ore di attività ed altrettante bocche da sfamare. “Il Comune – dice – non ci aiuta per niente, ma com’è che si fa ad ottenere il reddito di cittadinanza? Quella sarebbe una cosa buona per noi, andare per cassonetti è uno schifo”. E mentre c’è chi guarda al sussidio grillino con interesse, qualcuno maledice il nuovo esecutivo. È il caso di un nomade sulla cinquantina che ha l’auto posteggiata non lontano dal campo, l’aveva immatricolata in Romania per aggirare costi e sanzioni, adesso con il decreto sicurezza non può più circolare.
Uscendo dal canneto e imboccando via Alberese si arriva alla Parrocchietta, uno spicchio di periferia che assomiglia ad un paesino. Le case basse, il bar dove si gioca a carte, il centro anziani e la scuola. La voce del ritorno dei nomadi è passata di bocca in bocca e nel quartiere non si dormono più sonni tranquilli, soprattutto perché nell’ultimo periodo diversi appartamenti sono stati svaligiati. Di cosa vive questa gente? È la domanda che si pongono un po’ tutti. “Non voglio colpevolizzare nessuno – ci dice un papà – ma noi siamo andati in vacanza e abbiamo trovato casa aperta”. Di storie così se ne sentono tante in giro, praticamente tutti quelli che incontriamo raccontato di aver subito direttamente o indirettamente un’esperienza del genere. “A casa di mia figlia sono entrati il 31 dicembre – racconta un’anziana – ed hanno portato via tutto”. “Le modalità di scasso – aggiunge un altro residente – sono sempre le stesse, con cacciavite e utensili simili, quelle tipiche dei rom”. E se non ci si sente sicuri nelle proprie abitazioni, figuriamoci per strada quando è sera. “Mia figlia ha tredici anni – ci dice una mamma – e quando esce per andare a casa di un’amichetta, che dista cinque minuti a piedi dalla nostra, facciamo il tragitto insieme per telefono”.
“Perché l’azienda proprietaria del terreno, che è pure un ente pubblico non lo ha messo in sicurezza?”, domanda Daniele Catalano, consigliere della Lega in XI Municipio, puntando il dito contro l’Ater.
“Bisogna individuare una destinazione d’uso per quell’area – prosegue Catalano – perché sennò qualsiasi tipo d’intervento sarà vano: una delle proposte avanzate dalla cittadinanza è quella di realizzare degli orti urbani”. Il tema alla fine è sempre lo stesso, gli sgomberi nella Capitale troppo spesso si risolvono in un nulla di fatto se poi terreni, case e immobili non vengono messi al riparo da nuove incursioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.