Rosso o nero, punire chi sbaglia

Riflettendo a freddo sui fatti del Pigneto e della Sapienza viene voglia di commentare: ecco l’effetto, sessantacinque anni dopo la guerra civile e mezzo secolo dopo la guerra fredda, di un’Italia interpretata secondo il rosso e il nero, mentre le regole della democrazia liberale fanno la parte della suocera petulante, malamente tollerata. Eppure i neofascisti non ci sono più, e i post-comunisti non sono più tali, almeno nella maggioranza. La sensazione che si ricorra di frequente a fantasmi del passato può essere espressa anche in altri termini: lo Stato di diritto fondato sulla certezza delle leggi e sulla giusta repressione dei reati resta in Italia sullo sfondo come petizione di principio, oscurato da valutazioni politiche.
In questi giorni i mass media hanno dedicato tempo e spazio ad affibbiare un’etichetta politica - rossa o nera - all’aggressione del Pigneto e alla cosiddetta «rissa» dell’Università di Roma culminata in un inequivocabile sequestro di persona. Si sono lette analisi sociologiche, disquisizioni sul colore dei protagonisti dei reati, e ricostruzioni su chi sono stati i responsabili primi di fatti così poco commendevoli, ma non si è discusso con rigore dei reati commessi e dell’esigenza di reprimerli con fermezza, anche come deterrente per il futuro.
Qualche giorno fa il capo della polizia Manganelli ha opportunamente levato un grido di dolore sulle migliaia di immigrati illegali che godono di una specie di indulto quotidiano. Lo stesso discorso vale da molto tempo per le gesta dei teppisti, definiti di volta in volta «rossi» e «neri», i quali, dopo un’iniziale indignazione da una parte o dall’altra, continuano tranquillamente a infrangere la legge, quasi sempre sotto l’occhio socchiuso del pubblico potere.
Il signor Dario Chianelli, autore della spedizione punitiva del Pigneto, dopo la sua auto-presentazione in questura, a cui ha fatto seguito quella di un seguace nell’impresa teppistica, è stato rilasciato a piede libero, sì da essere acclamato come una specie di vendicatore e giustiziere dei mali del quartiere, quasi un eroe popolare, a cui tutto può essere perdonato dal momento che non è classificabile nelle categorie - il rosso e il nero - che invece suscitano sempre indignazioni, anche se in questo caso si tratta di un individuo incriminato per danneggiamento e violenza privata aggravata, con alle spalle una carriera da pluri-pregiudicato.
Una discussione che sconfina nel grottesco è stata lanciata dal Corriere della Sera che ha scomodato due insigni intellettuali, Luciano Canfora e Giano Accame, per dedurre dal tatuaggio del Che sul braccio del giustiziere del Pigneto la filosofia della storia della violenza. D’altra parte la fede comunista che tuttora anima Canfora, e la lontana origine saloina di Accame, fanno pensare che l’abuso del discorso interpretativo sul rosso e nero è ancora abbastanza diffuso.
Anche i fatti della Sapienza sono stati letti in modo distorto, ossia come una serie di azioni e reazioni di rossi e neri, senza curarsi della rilevanza dei reati commessi. Infatti i fermati sono stati accusati solo di «rissa» per i fatti esterni agli edifici universitari, mentre, almeno per ora, non è stata formalizzata alcuna incriminazione per l’indubbio sequestro all’interno dell’Università di cui è stato vittima il professor Pescosolido con relative minacce ai figli e incitamento ad abbandonare la cattedra.
È proprio la latitanza della legge rigorosa e tempestiva che facilita le assurde disquisizioni di alcuni professori della facoltà sulle responsabilità politiche del preside, la sola vittima dell’inaudita violenza. Se per questi comportamenti criminosi (che si ripetono periodicamente) non scatterà un’adeguata punizione che spazzi via la deleteria dottrina delle responsabilità politiche, farà inevitabilmente seguito una catena di atti che perpetueranno all’Università di Roma uno stato perenne di illegalità.


Chi continua a leggere i reati secondo primitive logiche politiche che si reggono su paradigmi della colpa del rosso e del nero piuttosto che sulla legge uguale per tutti sia che si tratti di piccoli o di grandi fatti criminosi, non fa un buon servizio alla civiltà dell’Italia.
Massimo Teodori
m.teodori@mclink.it

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