Sebbene negli anni si sia totalmente trasformato per idee e collocazione politica, Francesco Rutelli è rimasto l'identico ciocco che era. È quanto accade in natura col merluzzo che, salato diventa baccalà, essiccato stoccafisso, ma sempre merluzzo resta. Sono 27 anni che questo cinquantatreenne è sulla scena, ma nessuno ne ha ancora afferrato l'utilità sociale. Quella personale è invece evidente. Dal 1980, quando debuttò come segretario romano dei radicali, a oggi che è vicepresidente del Consiglio e ministro della Cultura, Ciccio non ha trascorso un'ora senza occupare una poltrona. Ci si è seduto nelle vesti più disparate e multicolori. Radicale, mangiapreti, verde, craxiano svenevole, anticraxiano bilioso, occhettiano, neodemocristiano, baciapile. Sempre un altro e sempre uguale. Col sorriso da paravento, l'educata inflessione romana e un sidereo vuoto concettuale. Poiché da giovanotto andava in motorino fu ribattezzato: «Sopra il motorino, Niente». Ora che ha i capelli grigi, ci si premura di aggiungere: «Inutilmente grigi».
Ciccio, sia chiaro, non fa un soldo di danno, a meno di non mettergli in conto i soldi che prende e le auto blu su cui scorrazza. Anzi, nel governo Prodi, fa pure la sua figura. In mezzo a tanti scalmanati, è un elemento di moderazione. Cerca di smussare angoli e correggere qualche cappellata. Però non combatte mai a fino in fondo. Alza la voce, solleva il ditino, ma alla prima occhiataccia, si accuccia, defila, dilegua.
Quando l'anno scorso si profilava la Finanziaria succhia soldi, fece un giro in Veneto per calmare industriali e partite Iva allarmate. A chiamarlo, con un diavolo per capello, il suo fedelissimo, Riccardo Illy, governatore del Friuli-Venezia Giulia. Ciccio giunse, sorrise, promise e si fece una scorpacciata di San Daniele. Poi tornò a Roma. Chiese al governo una drastica riduzione dell'Ici, di rivedere le norme sul Tfr, di riconsiderare la tassazione delle successioni. Non se lo filò nessuno. Incassò muto la sconfitta e cancellò il Veneto dai propri itinerari.
Una sua specialità è di non fare mai capire da che parte sta. Dà un colpo al cerchio e uno alla botte. All'epoca dei referendum sulla fecondazione assistita disse chiaro e forte che, in obbedienza alla Chiesa, avrebbe votato quattro «no». Subito sua moglie, la celebre giornalista Barbara Palombelli, dichiarò garrula che lei votava quattro «sì». Voi direte, che c'entra la moglie? C'entra. Innanzitutto, perché è la sua metà e, nel caso di Ciccio, addirittura i tre quarti. Poi, perché nel comune sentire, mogli e mariti si danno reciprocamente ombra e luce. I Rutelli, per di più, sono una coppia di ferro che si ripartisce i ruoli. Lui occupa uno spazio, lei quello opposto e, quando serve, se li scambiano. Così, se va male, cadono entrambi in piedi. Il fatto, dunque, che Barbara votasse «sì», addolciva i «no» di Ciccio. Talché, coi suoi «no», Rutelli ha conquistato i cattolici, coi «sì» della moglie si è tenuto stretto i laici.
Il gioco della coppia, che dura da decenni, ha mille applicazioni. Ciccio, per ragioni di schieramento, è antiberlusconiano sfegatato. Negli anni del governo del Cav si è sbizzarrito: «Ci guida un irresponsabile»; «Le dichiarazioni di Berlusconi sono panzane»; «Berlusconi è bollito, mancano solo le patatine di contorno». Mentre Ciccio si esaltava, Barbara taceva soave. Poi, un bel giorno dell'anno passato, è entrata nella scuderia di Mediaset come editorialista del Tg5. Così adesso sono su fronti avversi, ma la famiglia, in quanto tale, ha i piedi in due staffe e l'avvenire in pugno.
Romano di nascita e di pasta, Rutelli è figlio di lombi illustri. Il babbo, Marcello, era un architetto di successo, il nonno fu direttore dell’Accademia delle Belle arti, il bisnonno è Mario Rutelli, il celebre siciliano che ha arricchito Roma di sculture. Fece scandalo la sua fontana di Piazza Esedra con le Naiadi nude dalle vaste poppe. Vedendole dall'alto della sua carrozza, la Regina Margherita esclamò: «Sono grosse come cupole!». Anche Francesco ha avuto una fase artistica. Ventenne ha esposto collage nella galleria di Giorgio Quintini Paleologo, un marchese vicino ai gay. All'epoca erano amici. Poi, il nobiluomo ruppe con Ciccio diventato bacchettone.
Grazioso e desideroso di piacere, Francesco si guadagnò con merito il soprannome di Cicciobello e, più tardi, quello di Piacione. Fece i primi studi dalle suore di Nevers a due passi dalla villa paterna all'Eur. Proseguì l'educazione cattolica al Massimo, retto dai gesuiti. Partecipò alle gare di cultura Veritas organizzate dal Vaticano. Poi dirazzò. Fu ritirato dal Massimo per scarso profitto e terminò gli studi al Socrate, liceo pubblico. Si iscrisse ad architettura e dette diversi esami. Ma non ci stava più con la testa. Si innamorò dei radicali e di Marco Pannella. Come tutti quelli entrati nella cerchia, dette l'addio alla laurea. Coabitò addirittura con Marco e si buttò nella militanza.
Fece marce pacifiste, ecologiste, antimilitariste. Ma, innovando sul passato, anziché farle a piedi usava pigramente il torpedone. Fu ribattezzato «Torpidone». Si sottrasse solo al rito radicale dei digiuni. Aveva visto quanti guasti avevano prodotto sulla leggiadra Emma Bonino che ne era sfiorita e li sfuggì come la peste. Risultato: anche oggi che è over 50, ha la pelle di velluto. Antinuclearista, si fece quattro giorni di carcere, per avere istigato alla disobbedienza i soldati di guardia durante un sit in alla centrale atomica di Latina. Anticlericale rifondò con lo scrittore Carlo Cassola L'Asino, scimmiottando la rivista mangiapreti di fine '800 diretta da Podrecca. Per questa massa meriti, Torpidone divenne segretario nazionale del Pr a 27 anni, nell'81. Nell'83, entrò alla Camera, più imberbe deputato con Pierferdi Casini.
Intanto, aveva incontrato Barbara. Lei si innamorò del suo sorriso, lui dei suoi occhi. Si sposarono in municipio nell'82. Marcello, il padre del Piacione, tirò un sospiro di sollievo. Aveva seguito con angoscia le scalmane del figlio, mentre lo avrebbe voluto nel suo avviato studio di architettura. Vista la ragazza, Marcello esclamò: «Ha la testa sulle spalle. È una carabiniera. Saprà imbrigliare quella capa fresca di Ciccio». Aveva visto giusto. D'ora in poi, dietro ogni scelta di capafresca ci sarà la generalessa.
Alla fine degli anni '80, a Ciccio venne a noia Pannella. Col suo assenso passò ai verdi, poi si distaccò dal mentore. Si era infatti invaghito di Bettino Craxi. Gli scodinzolava attorno, lo considerava Nabucodonosor. Bobo, il figlio di Bettino, dirà: «Nessuno adottò verso Craxi atteggiamenti servili come quelli che Rutelli normalmente adottava». Quando Craxi però cadde con Tangentopoli, gli si rivoltò come un cobra. Durante la buriana, si era infatti ammanicato con Achille Occhetto, il segretario Pds che guidava la crociata giudiziaria contro Bettino. Grazie a lui fu nominato nel '93 ministro dell'Ambiente del governo Ciampi e, in obbedienza a lui, si dimise il giorno dopo per protesta contro la Camera che aveva rifiutato al pool di Milano mano libera su Bettino. Era in buona compagnia: tra gli altri si dimise pure il noto Visco. Il giorno stesso, Ciccio partecipò a un comizio pds in piazza Navona e tuonò: «Voglio vedere Craxi mangiare il rancio in galera». Bettino, che stava a cento metri, all'Hotel Raphael, sentì. Poi si trovò davanti la folla che, aizzata dall'ex libertario radicale, gli gettava addosso monetine al grido: «Galera, galera». Tempo dopo, profittando di un'occasione qualsiasi, la figlia di Craxi, Stefania, gli rese la pariglia. Vide Ciccio, gli si avvicinò e disse: «Sei uno st...zo». Querelata, fu condannata all'inezia di 500 euro, segno che il giudice aveva apprezzato il giudizio.
Nel '93, Rutelli fu eletto dalla sinistra sindaco di Roma. Poco dopo però il centrodestra vinse le elezioni. Ciccio iniziò a barcamenarsi tra i due schieramenti. Dichiarò: «Berlusconi non è mica il diavolo» e prese a frequentare con Barbara il Circolo dei Canottieri, di cui Cesare Previti era presidente. Pannella, impressionato dalla capacità di calcolo della coppia, sibilò: «Sono i Ciano», allusione a Galeazzo e Edda Mussolini, celebri negli anni Trenta per il carrierismo. Nel '95, i due sposi si risposarono in Chiesa, officiante il cardinale Silvestrini. Conversione privata e pubblica conquista delle simpatie dell'elettorato cattolico romano. Nel '97, infatti, Ciccio fu riconfermato sindaco con molti più voti della volta precedente.
Da allora, il mangiapreti è un baciapile. Ha cambiato base elettorale e moltiplicato le poltrone.
Giancarlo Perna
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