La sai l’ultima? Tutti assieme contro Berlusconi

«Di che cosa parliamo quando non parla Lui?», s’intitolava ieri un commento (non firmato) sul Riformista. Il quotidiano diretto da Antonio Polito, cui non fanno difetto né l’ironia né l’autoironia, rifletteva sull’«esperienza spaesante» dovuta a novanta ore di silenzio del premier: «È come se, sollevato il velo dell’incantesimo in cui il Cavaliere tiene avvolto il Paese da quindici anni, sotto ci scoprissimo il vuoto. Vuoto di dibattito pubblico, vuoto di idee, vuoto di passioni e sentimenti pubblici che non siano solo l’amore per il capo o il disgusto per il capo».
Una critica alla presenza straripante di Berlusconi nella vita pubblica del Paese, ma anche un’autocritica per un’opposizione che, se non può contestare quel che dice il Nemico, non sa che cosa dire.
Un’autocritica, però, che ieri è suonata come una voce nel deserto. L’antiberlusconismo sembra restare l’unico possibile collante di un’ipotetica alleanza delle forze dell’opposizione: sia di quelle che alle ultime elezioni sono andate bene (l’Italia dei Valori) sia di quelle che sono andate male (il Pd e la sinistra radicale).
L’abbiamo letto un po’ da tutte le parti, ieri. Su L’Altro, il quotidiano diretto da Sansonetti, Nichi Vendola (che si è presentato alle elezioni con il simbolo di «Sinistra e Libertà») scrive una lettera aperta a Giovanna Melandri, del Pd, proponendo una nuova santa alleanza. Con un fine immediato e prioritario: abbattere Berlusconi. «Credo», scrive Vendola, «che l’interlocuzione a sinistra che tu proponi sia necessaria, non per noi ma per il Paese, il cui problema oggi è la ricostruzione del campo largo di un’opposizione al berlusconismo». Sempre su L’Altro, Gianni Cuperlo (pd, dalemiano) propone di allargare anche all’Udc, oltre che a Vendola, un’alleanza di «tutte quelle forze che si oppongono - scrive il giornale - al pensiero unico del capo del governo». Mentre sul Manifesto Leoluca Orlando, portavoce dell’Idv, chiede al Pd «di voler essere i cofondatori di una nuova alleanza di governo alternativa al berlusconismo». E Marco Travaglio, su l’Unità, critica chi - nel Pd - pensa che il solo antiberlusconismo non basti: «Ora si ascoltano commenti stupefacenti delle Melandri (“con l’antiberlusconismo non si costruisce un progetto di governo”) e del Chiamparino, dall’alto dei 10 punti persi a Torino (“nostro compito sarà di ricondurre Di Pietro a un’opposizione che non sia fatta solo di antiberlusconismo”). Continuate così. Bene, bravi, bis».
La vera spaccatura nell’opposizione, quindi, sembra essere questa: da una parte coloro che puntano su una grande armata tenuta insieme non da un per ma da un contro; dall’altra, coloro (la maggioranza del Pd e l’Udc) che continuano a pensare che per avere un futuro occorra avere un progetto politico, una visione del mondo, una spinta propositiva e non solo distruttiva.
I secondi hanno davanti certamente una strada più lunga. La sinistra, come hanno dimostrato i risultati elettorali di tutta Europa, è in una crisi innanzitutto culturale e deve ripensare il proprio ruolo e perfino la propria essenza. Quanto al «polo di centro» di Casini, sembra al momento poco più di un’utopia.
Invece i primi - ossia i fautori dell’antiberlusconismo come unica ideologia - hanno in teoria una strada più corta da percorrere. Sono quelli che scelgono l’uovo oggi. È probabile che la spunteranno loro, e che nascerà un grande «cartello» elettorale che giustificherà le proprie irrisolvibili divisioni (che c’entrano Vendola e Franceschini, Di Pietro e Casini?) con slogan imperniati sull’«emergenza democratica» e così via. Una sorta di comitato di salute pubblica che, in determinate condizioni, potrebbe anche vincere le elezioni. È probabile che finisca così, con questa alleanza anti-Cavaliere, perché a sinistra (il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, lo ha scritto l’altro giorno) c’è la convinzione che Berlusconi abbia imboccato il viale del tramonto, e che sia giunto il momento della spallata.
Ma anche se fosse? Una volta vinte le elezioni, quanto governerebbe un’alleanza del genere? Probabilmente meno di quanto riuscì a governare Prodi dopo la vittoria del 2006: non riuscirono a stare insieme con Mastella, figuriamoci con l’Udc (ammesso, e ne dubitiamo, che l’Udc ci stia, a un gioco del genere).
E se le cose - per il fronte antiberlusconiano - andassero ancora meglio? Vogliamo dire: se Berlusconi decidesse un giorno di lasciare la politica e ritirarsi a vita privata a godersi quel che ha? Quanti disoccupati nell’Idv, ad Annozero, a MicroMega. Di colpo, emergerebbe il vuoto di cui parla il Riformista.
Veltroni aveva fatto una scelta coraggiosa, sapendo che nella migliore delle ipotesi i risultati sarebbero arrivati a lungo termine. La «vocazione maggioritaria» del Pd era il tentativo di dare un futuro a una storia politica che ha un passato importante, e di creare un’alternativa politica al centrodestra.

Certo per seguire ancora oggi una via del genere occorre molta pazienza. Ma per cedere alla tentazione dell’ammucchiata con i manganelli perbene dell’Idv e i nostalgici dell’Urss, ci vuole una vocazione non al maggioritario, ma al suicidio.

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