Alla fine nessun aumento di gettone, ma i consiglieri comunali alzano la testa. Vola alta anche la politica, per una volta, a palazzo Tursi per precipitare a intermittenza tra cadute di stile e faide di partito o pseudo coalizioni. Il tutto perché da destra e da sinistra non ci stanno a passare come avidi mercenari quando percepiscono un gettone di 87 euro a seduta e chiedevano di alzarlo a 116, per uno stipendio che al massimo non avrebbe mai potuto superare i 2.500 euro lordi al mese (sempre un terzo di quanto percepisce il sindaco, che a sua volta percepisce meno di altri sindaci d'Italia). Assai meno rispetto ad altri Comuni e ancor meno rispetto ad altri incarichi istituzionali che richiedono un impegno non troppo differente. Non mancano però neppure i distinguo, come An e la biasottiana Lilli Lauro che accusano anche gli alleati (durissimi Bernabò Brea e Murolo contro Forza Italia) e precisano di non voler alcun emolumento aggiuntivo. Nel frattempo parere di illegittimità rispetto alla delibera sullaumento dei gettoni di presenza viene espresso in aula dal direttore generale del Comune Mariangela Danzì. Neppure tra le file di centrosinistra però mancano i jaccuse all'antipolitica. Arcadio Nacini, Rifondazione comuinista, uno che «il gettone non l'ho mai ritirato per ragioni di principio» dice che sì, è giusto per la dignità dei consiglieri che chi guadagna troppo prenda meno e viceversa.
Così, alla fine, la patata bollente verrà rigirata all'Anci, l'associazione dei comuni italiani, che dovrà farsi portavoce di un malessere più o meno trasversale. Forza Italia, invece, accusa chi ha fatto un passo indietro rispetto alla delibera iniziale (firmata anche da Ulivo e An) e ha ritirato la firma per cavalcare l'onda mediatica. Il pomeriggio, non a caso, parte con l'applauso bipartisan a Nicolò Scialfa (Unione a Sinistra), per la dura requisitoria contro la demagogia di certa stampa, certi politici, e certa antipolitica. Sullo stesso tono Remo Viazzi (Forza Italia) che fa anche nomi di lettori e editorialisti, e risponde citando il proprio indirizzo di casa per ribadire che è fiero della sua posizione. Scivola poi nell'attaccare la sicilianità di Scialfa e Lo Grasso (il consigliere dell'Ulivo, promotore dell'aumento) che sono stati «intimoriti dalle minacce» di Marta Vincenti. Ma Lo Grasso risponde: «Non ho fatto alcun passo indietro, sono i capigruppo che hanno ritirato la mia delibera, e non mi pento».
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