Salta l’intesa su Cipro, l’Europa s’allontana

Crisi tra Ue e Turchia: falliti i colloqui sul problema dell’isola. Probabile ora un congelamento dei negoziati di adesione

nostro inviato ad Ankara
Quel che molti temevano si è avverato e non è certo un viatico per il Papa che arriva oggi ad Ankara: la presidenza Ue e il governo Erdogan non sono riusciti a trovare un accordo su Cipro. E ora l’Unione europea deve reagire. Sul tavolo due opzioni: congelare l’intero negoziato per l’adesione alla Ue oppure solo i dossier critici, rinviando la soluzione a un futuro più propizio. La decisione spetterà ai leader dei Venticinque, che si riuniranno l’11 dicembre. È probabile che optino per la seconda soluzione, meno traumatica. Ciò nonostante è evidente che, per la Turchia, i contraccolpi saranno considerevoli. Gli europei, sempre più scettici sull’opportunità di accogliere i turchi, non comprendono l’ostinazione di un governo che, per solidarietà con la parte turca di Cipro, non vuole aprire i porti e gli aeroporti alle merci provenienti dall’altra Cipro, quella ufficiale, che parla greco e che è membro a pieno titolo dell’Ue.
Ma in un Paese molto nazionalista, questo è un problema che conta. E a un anno dalle elezioni legislative nessun partito è disposto a inimicarsi l’elettorato. Per una volta sono tutti d’accordo: sia gli islamici moderati del partito Giustizia e Sviluppo, al potere dal 2001, sia le molte formazioni laiche. Ieri il ministro degli Esteri Abdullah Gul, dopo aver incontrato a Tampere il suo omologo finlandese Erkki Tuomioja, presidente di turno dell’Ue, ha cercato di ridimensionare l’accaduto: «Non bisogna fare coincidere la questione di Cipro con il processo europeo della Turchia». Un’altra fonte diplomatica ha affermato che «non è la fine del mondo» e che Ankara comincerà ora un processo finalizzato a una «riduzione del danno».
Tuttavia in Parlamento si preannunciano scintille. «In questi anni abbiamo accettato le condizioni poste dall’Unione europea, ma non basta mai. Bruxelles avanza sempre nuove richieste», ripete da settimane Onur Oymen, uno dei leader del Partito repubblicano. «Anche su Cipro è stata la Ue a violare un accordo che avrebbe permesso una soluzione», dichiara al Giornale. «Che cosa volete voi europei? Che ritiriamo la candidatura? Smettetela di trattarci come un Paese ostile».
Di certo le recenti frizioni con l’Unione europea anche su altri temi, come l’articolo 301 del codice penale che limita la libertà di critica, hanno raffreddato l’entusiasmo europeista. Un anno fa il 75% dei turchi era favorevole all’adesione, ora solo il 40%.
«È l’Europa che deve risolvere i propri dilemmi esistenziali», rilancia Can Paker, presidente di Tesev, un centro studi progressista, ricevendoci nel suo ufficio. «Dovete decidere se volete un’Unione fondata sull’identità, e in questo caso è evidente che noi non possiamo farne parte, oppure se ne volete una capace di contare nel mondo. E allora non avete scelta: dovete farci entrare». Essenzialmente per due ragioni: «Innanzitutto perché garantiamo la sicurezza strategica in un’area molto instabile - spiega -, in secondo luogo perché nel nostro Paese passano o passeranno oleodotti vitali per le vostre economie». Paker è un intellettuale, peraltro alquanto originale: liberale, non teme l’islamizzazione strisciante promossa da Erdogan. Ma in questi frangenti pochi lo stanno ad ascoltare. Dopo la rottura di ieri, il Paese ragiona con la pancia. Il Papa troverà una Turchia arrabbiata, maldisposta nei confronti dell’Occidente.

Quando era cardinale, Ratzinger si pronunciò contro l’adesione di Ankara alla Ue. Molti qui ricordano bene quel pronunciamento e ora potrebbero rinfacciarglielo, nelle strade più che nei Palazzi. Non sono solo gli islamici a deplorare la visita di Benedetto XVI.

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