Così il G-test riconosce possibili alterazioni già dalla 10ª settimana

L'esame non invasivo è eseguito nel sangue materno. Si basa su frammenti di Dna fetale

Franca Iannici

Il 48,5% delle donne italiane decide di avere un figlio fra i 35 e i 44 anni contro il 44,7% dei parti registrati tra i 25 e i 35 anni, il 6% riguarda le donne over 40. La medicina considera le donne oltre i 35 anni a rischio perché, con l'aumento dell'età, salgono statisticamente i rischi di malattie cromosomiche, ritardo di accrescimento per il bambino, ipertensione, gestosi e diabete per la madre. È necessario, quindi, eseguire un'accurata indagine prenatale per conoscere lo stato di salute del bambino.

Uno dei test più diffusi e non invasivi è il B-test, chiamato anche test di screening del primo trimestre e si esegue tra 11ª e la 14ª settimana di gravidanza. Questa tecnica diagnostica prenatale prevede due diverse prestazioni: la più rilevante è la misurazione, mediante l'ecografia, dello spessore della traslucenza nucale, cioè di un'area che si trova nella nuca dell'embrione e che permette di definire un'ampiezza; l'altra è un prelievo di sangue eseguito alla madre, che consente di dosare due ormoni indicativi della funzione placentare. Oltre al B-test è possibile richiedere il G-test, uno screening non invasivo effettuato nel sangue materno per individuare alterazioni cromosomiche del feto già dalla decima settimana, attendibile al 99,9%.

Il test di screening si basa sull'analisi di piccoli frammenti di Dna fetale che circolano nel sangue materno a partire dalla quinta settimana di gestazione. Ma cosa sono le malattie cromosomiche? Sono patologie genetiche caratterizzate dall'anomalia del numero dei cromosomi o dall'anomalia nella struttura di uno o più cromosomi. Le trisomie sono caratterizzate da un cromosoma in più rispetto alla coppie normalmente presenti.

La più comune alla nascita è la Trisomia 21, associata alla Sindrome di Down (frequenza 1 su 700 nati); più rare sono la Trisomia 18 (Sindrome di Edwards, 1 su 7900 nati) la Trisomia 13 (Sindrome di Patau, 1 su 9500 nati), la Trisomia 22, la Trisomia 16 e la Trisomia 9, solitamente causa di aborto precoce.

Può essere eseguito nelle gravidanze singole e nelle gravidanze gemellari (con massimo 2 feti), sia naturali che da fecondazione assistita. In Italia, al momento, il test non è offerto dal SSN. I risultati dei test di screening devono essere seguiti da una consulenza genetica a cui, nel caso di risultato positivo, devono seguire esami diagnostici invasivi come l'amniocentesi e la villocentesi. L'amniocentesi (o prelievo del liquido amniotico), si esegue tra le 15 e le 18 settimane di gestazione e consiste nell'aspirare, sotto diretta guida ecografica, una modesta quantità di liquido amniotico. Anche la villocentesi (o prelievo di villi coriali) è un valido test e consente di diagnosticare anomalie cromosomiche o genetiche a partire dalla decima settimana di gravidanza. Ma come scegliere il test per la valutazione prenatale di anomalie fetali più idoneo?

Sul mercato esistono molti test, alcuni definiti «validati», cioè passati attraverso un numero molto elevato di test eseguiti per poter definire livelli di performance stabili e realistici (più sono rare le malattie, più test bisogna fare per valutarne l'effettiva affidabilità). A oggi, per quanto riguarda il G-test, ne sono stati certificati 2 milioni a livello internazionale.

È importante ricordare che alcune coppie, per motivi morali o religiosi, accettano qualsiasi esito senza approfondire i risultati dello screening con indagini particolarmente invasive che possano mettere a rischio la vita del nascituro.

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