Tumore alle ovaie, contro gli esiti fatali precoci non basta lo screening

Lo studio randomizzato, condotto sui dati di oltre 200mila pazienti nel solo Regno Unito, è stato condotto dai ricercatori dell'University College London (UCL)

Tumore alle ovaie, contro gli esiti fatali precoci non basta lo screening

Il tumore alle ovaie è la quinta neoplasia più diffusa tra il sesso femminile dopo il cancro al seno, all'utero, all'intestino e al polmone. Esso è l'esito di una serie di mutazioni genetiche che interessano il DNA delle cellule e le cui cause sono ancora poco chiare. Esistono, tuttavia, fattori di rischio come ad esempio un numero elevato di ovulazioni, il sovrappeso, l'obesità, la terapia ormonale sostitutiva, l'endometriosi, la predisposizione familiare e l'età superiore ai 50 anni.

Uno studio randomizzato su larga scala di screening annuale per il tumore alle ovaie (UKCTOCS), guidato dai ricercatori dell'University College London (UCL), non è riuscito a ridurre i decessi causati dalla malattia. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista "The Lancet".

Nel Regno Unito 4mila donne muoiono di cancro ovarico ogni anno. Solitamente, esso non viene diagnosticato fino a quando non è in una fase avanzata e difficile da trattare. Lo screening è stato progettato per valutare l'ipotesi che un metodo di monitoraggio affidabile che rilevi la malattia quando è più probabile che le cure siano efficaci, possa salvare vite umane. L'ultima analisi ha esaminato i dati di oltre 200mila pazienti di età compresa tra i 50 e i 74 anni. Al momento del reclutamento sono state seguite per una media di 16 anni. Le partecipanti sono state assegnate in maniera casuale a uno dei tre gruppi: nessuno screening, screening annuale mediante ecografia e screening multimodale annuale che prevedeva un esame del sangue seguito da un'ecografia.

I ricercatori hanno scoperto che, mentre l'approccio che utilizza i test multimodali è riuscito a rilevare il tumore alle ovaie in una fase precoce, nessuno dei due metodi di screening ha portato a una riduzione dei decessi. Ciò, dunque, ha evidenziato la necessità di richiedere prove che qualsiasi potenziale test di screening per la neoplasia ovarica abbia effettivamente ridotto il numero di morti. Le partecipanti sono state scelte tra il 2001 e il 2005 e l'indagine è durata fino al 2011. Essa si è basata su un esame del sangue annuale che ha monitorato i cambiamenti nel livello della proteina CA125 o su un'ecografia transvaginale.

Lo screening del sangue ha rilevato il 39% in più di tumori in una fase iniziale (Stadio I/II) e il 10% delle forme cancerose in fase avanzata (Stadio III e IV) rispetto al gruppo senza screening. Non vi è stata differenza nello stadio della patologia rilevata nel gruppo dell'ecografia rispetto a quello senza screening. L'analisi iniziale dei decessi è avvenuta nel 2015 ma, al momento, non vi erano dati sufficienti per concludere se lo screening avesse ridotto o meno i tassi di mortalità. Osservando altri cinque anni di dati di follow-up, gli scienziati sono stati in grado di concludere che le tecniche di prevenzione non hanno salvato vite umane.

Il professor Mahesh Parmar, direttore dell'MRC Clinical Trials Unit presso l'UCL e autore senior dello studio, ha così concluso: «Ci sono stati miglioramenti significativi nel trattamento del tumore alle ovaie negli ultimi 10 anni da quando lo screening della nostra ricerca è terminato. Esso non è stato efficace nelle donne che non hanno manifestazioni di cancro ovarico.

Nelle pazienti che hanno sintomi, una diagnosi precoce combinata con questo trattamento può ancora fare la differenza per la qualità della vita e, potenzialmente, può migliorare i risultati delle cure. Inoltre, ottenere rapidamente una diagnosi, qualunque sia lo stadio della neoplasia, è fondamentale per le donne e per le loro famiglie».

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