Nell'immediato dopoguerra due scugnizzi napoletani si trovano, loro malgrado, imbarcati su una nave battente bandiera statunitense che li porterà in America. Questo, in estrema sintesi, il formidabile soggetto scritto da Federico Fellini, non ancora regista, e da Tullio Pinelli nella seconda metà degli Quaranta (pubblicato da Augusto Sainati dieci anni fa per Marsilio e oggi nuovamente in libreria aggiornato) che è diventato un film diretto da Gabriele Salvatores, Napoli New York dal 21 novembre nei cinema. Il film è una favola «che ha l'odore dei biscotti fatti in casa dalla nonna» come dice ai giornalisti Anna Ammirati, una delle protagoniste e racconta di quando erano gli italiani gli immigrati non graditi negli Stati Uniti: «Viviamo spiega il regista in un momento pieno di diffidenza, di rancore, a volte anche di odio. Mi piaceva fare un film che parlasse anche di solidarietà perché, se guardiamo da vicino anche chi è diverso da noi, alla fine possiamo volergli bene. È un film che dice che possiamo essere migliori di quello che siamo».
Ogni riferimento ai migranti di oggi è voluto, perché i due ragazzini rimasti orfani, Celestina e Carmine perfettamente interpretati da Dea Lanzaro e Antonio Guerra, in questo viaggio di scoperta e di crescita si uniscono agli emigranti italiani in cerca di fortuna in America dove, in una New York ricostruita a Cinecittà (anche al Teatro 5 di Fellini) e poi elaborata con gli effetti digitali, scoprono la diffidenza verso gli italiani addirittura non ammessi in alcuni negozi. Nel mondo della Little Italy ritrovano il commissario di bordo, Domenico Garofalo interpretato da Pierfrancesco Favino, che li aveva scoperti clandestini sulla nave e poi protetti, insieme alla moglie (Anna Ammirati). La coppia, non avendo figli, vagheggia pure la loro adozione: «Ho avuto molta paura quando mi hanno proposto il film scritto da due maestri. Ho solo cambiato la parte americana perché Fellini diceva che Napoli la sapevano raccontare ma in America non ci erano mai stati.
Con Favino ci siamo inventati il dramma familiare di questa coppia», spiega Salvatores. E chiosa Favino: «La cosa bella è che il punto di vista è quello di due giovani che, cercando la propria indipendenza e autonomia, scoprono anche di non poter essere più figli».
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