Le samurai perdono la corazza così l’Oriente diventa romantico

da Milano

«Da Oriente vi arriva la volontà, da Occidente il potere creativo». Con questa frase attribuita ad Ermete Trismegisto si può descrivere la meravigliosa sfilata di Ermanno Scervino andata in scena ieri a Milano moda donna. Lo stilista ha chiesto un minuto di silenzio per solidarietà con i monaci del Myanmar prima di presentare una collezione ispirata dalla ricchissima iconografia orientale riveduta e corretta da una visione creativa totalmente occidentale della femminilità. Così i classici ricami colorati delle vestaglie cinesi comparivano con garbata ironia come dettaglio del pratico bomber in tessuto tecnico nero, della grande borsa battezzata «Geisha» e perfino dei sandali dalle zeppe imponenti ma ultra leggere.
L’abito che nel nord della Cina viene chiamato Quipao, mentre a sud è detto Cheongsam, diventava un’evanescente sottoveste in seta tagliata a uovo e con tanto di tasche così utili alle donne moderne perfino quando esercitano la nobile arte della seduzione. Il nodo piatto formato sulla schiena dall’Obi che poi è l’altissima cintura del kimono, s’inseriva come un fiocco sui superbi abiti da sera rosso-lacca, giallo-Ming oppure pervinca: il colore del cielo sopra Pechino quando il vento riesce ad allentare la morsa dell’inquinamento.
Nulla aveva quel sapore di etnico che nel mondo della moda è ormai stantio. Ma tutto parlava di uno stile rigorosamente made in Italy perché solo nel nostro Paese si possono fare lavorazioni così accurate. Non a caso Scervino ha appena aperto una fabbrica a Bagno a Ripoli, poco lontano da Firenze, vanta 22 negozi nel mondo a cui presto si aggiungerà una boutique da 600 metri quadri a Londra e sta diventando un marchio globale con clienti internazionali come Camilla Parker Bowles e la sua elegantissima primogenita. Ci si chiede quindi perché stampa e compratori stranieri abbiano lasciato Milano prima del defilé salvo poi chiedere la presentazione dei capi in show room per capire la tendenza. Che domina molte delle collezioni della prossima estate a cominciare da quella di 6267, marchio disegnato dai due giovani stilisti Tomaso Aquilano e Roberto Rimondi. La loro sfilata (vista in Dvd perché era umanamente impossibile presenziare di persona) è sembrata una delle più convincenti di questa demenziale kermesse. C’erano capi magistrali ispirati da antichi racconti giapponesi mescolati ad alcuni elementi della cultura occidentale (da Jane Austen a Van Gogh). Così le pieghe geometriche sovrapposte davano nuovo volume alle classiche forme sartoriali degli anni Cinquanta, mentre le stampe floreali che richiamano i famosi Iris del grande pittore olandese, opportunamete sgranate al computer si trasformavano in una sorta di paesaggio onirico orientale.
Anche Gaetano Navarra ha guardato alla Cina per comporre un’immagine femminile in cui convivono felicemente la forza delle soldatesse di Mao e l’abbandono sensuale di Maggie Cheung, protagonista del poetico In the mood for love di Wong Kar-wai. Ieri ha sfilato anche Derercuny, marchio della divisione fashion di Samsung disegnato dalla giovane stilista coreana Mina Lee che in passato ha collaborato con nomi ben noti come Fiorucci e Luisa Beccaria.

Tagliati benissimo e cuciti ancor meglio, i suoi modelli erano decorati da cascate di petali dorati, preziosi ricami in platino e Swarovsky, nastri di colore degradante. Perversi e allo stesso tempo romantici come in fondo sono le donne nel millenario Oriente così lontano ma sempre più vicino a tutti noi.

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