SAN PIETROBURGO Lo sfregio della Gazprom

Il colosso russo del gas minaccia di sfigurare il panorama della città con un assurdo grattacielo di 400 metri

Arriva Gazprom e il mondo trema. Fu così con l’Ucraina, a fine 2004, poi toccò alla Georgia, ora alla Bielorussia; domani verosimilmente accadrà all’Europa. E sempre per la stessa ragione: il ricatto energetico. Gazprom è uno dei più grandi fornitori mondiali di gas. Quando i contratti scadono, il colosso russo, controllato dallo Stato, pretende di raddoppiare, talvolta di quadruplicare i prezzi. O accetti o chiude i rubinetti. E tu geli. Tutti cedono.
Da qualche settimana a tremare è San Pietroburgo, ma questa volta il metano non c’entra. In gioco c’è l’attaccamento dei cittadini alla loro città, l’ex capitale degli zar, miracolosamente intatta da oltre duecento anni. È sopravvissuta alle guerre, all’incuria del regime sovietico, agli stenti dell’era Eltsin. È un po’ decrepita, d’accordo; ma sempre affascinante. Di più: unica. L’Unesco la ritiene, giustamente, patrimonio dell’umanità. Ma ora rischia di essere rovinata per sempre. E non solo perché il governatore Valentina Matvienko autorizza sempre più frequentemente l’abbattimento di edifici storici che vengono rapidamente sostituiti da orribili palazzi moderni, come denunciato dal Giornale nel giugno scorso.
La minaccia più grave proviene dalla Gazprom che da quando ha preso coscienza di essere la più ricca tra le società russe quotate e una delle più grandi al mondo per capitalizzazione, coltiva sogni di grandezza. Non le bastano più il prestigio economico, né la prepotenza politica, vuole lasciare il segno. E non in una città qualunque, ma in quella fondata da Pietro il Grande. Lungo il fiume Neva in una zona molto centrale progetta di erigere la sua nuova avveniristica sede: un grattacielo, disegnato dagli inglesi dello studio Rmjm e alto quasi quattrocento metri: una sorta di luccicante, modernissima, affusolata candela. A Kuala Lampur, a Hong Kong, persino a New York starebbe d’incanto. Ma a San Pietroburgo no, che è famosa, tra l’altro, per la straordinaria armonia del suo panorama. Il punto più alto è rappresentato dai 123 metri della cattedrale di Pietro e Paolo; tutti gli altri edifici sono più bassi.
All’epoca gli zar non avevano bisogno di costruire in altezza per sentirsi grandi: la magnificenza dei loro palazzi e dei loro giardini era più che eloquente. «Innalzare un edificio alto il triplo significa rovinare questo straordinario paesaggio», protesta l’Unione degli architetti della città. E con loro il direttore dell’Hermitage, Piotrovsky e tutti gli intellettuali. Il loro è un coro. Inascoltato, perché il presidente di Gazprom Alexei Miller è persuaso che la torre «sia destinata a diventare il nuovo simbolo di San Pietroburgo»; dunque il progetto andrà avanti.
Frustrati da tanta arroganza, ai tanti, colti ma impotenti oppositori non rimane che una speranza: l’Unesco. «Se questo è un sito protetto, perché nessuno interviene?», si sono chiesti per settimane sperando in un intervento da Parigi.
E ora, dopo essere rimasta in silenzio, l’Unesco reagisce, s’indigna e farà di tutto per bloccare il progetto, come spiega al Giornale il direttore del centro del Patrimonio Mondiale, l’italiano Francesco Bandarin.
«Questa è una delle poche città al mondo che non ha certo bisogno di un emblema; ne ha tanti, a cominciare dall’Hermitage. La mia impressione è che in realtà sia Gazprom ad avere bisogno di un’icona», commenta. La sua analisi è netta, anche sul valore architettonico dell’opera: «Non si tratta di decidere se sia bella o no, ma di rispondere a una domanda semplice: rispetta i criteri per la conservazione della città storiche? E la risposta non può che essere un no netto. Quel grattacielo non c'entra nulla con il resto della città, altera l'equilibrio visivo».
Già, ma come opporsi? Il primo appuntamento è fissato per il 25 gennaio, quando proprio a San Pietroburgo si svolgerà un grande convegno internazionale proprio dell'Unesco sulla salvaguardia dei borghi antichi. «Abbiamo scelto questa sede prima che scoppiasse il caso Gazprom, ma ora ne approfitteremo per chiedere chiarimenti alle autorità e sensibilizzare il mondo». Una felice coincidenza. «E il mio messaggio sarà molto forte», aggiunge Bandarin. Poi inizierà la fase più delicata, perché i trattati dell’Unesco sono firmati volontariamente dai singoli Stati e non prevedono misure coercitive per chi li viola. «Sarà il nostro comitato a decidere sul da farsi - precisa - ma è molto probabile che opti per la linea dura: se la Russia non collabora, San Pietroburgo rischia di essere tolta dal patrimonio dell’umanità». Di solito la semplice minaccia di un declassamento nella categoria «siti in pericolo» è persuasiva e anche le amministrazioni più riottose, poste di fronte al rischio di una figuraccia planetaria, recedono. Ma la Russia di oggi oltre a essere ricca è, a tratti, sprezzante e non è affatto detto che il governatore Matvienko intenda ricredersi. Forse, semplicemente, non può. La Gazprom è troppo potente anche per lei.
«Il negoziato sarà molto duro. La nostra vera speranza è rappresentata da Putin - conclude il direttore del World Heritage -. Lui è nato a San Pietroburgo e in passato ha saputo compiere gesti inaspettati, come quando impose lo spostamento di 400 chilometri di un oleodotto per salvare il lago Baikal dalla catastrofe ecologica». E la Gazprom è controllata dal Cremlino.

Un suo cenno e tutto si ferma. Per ora tace, quando parlerà sapremo se intende passare alla storia come il presidente che ha permesso uno sfregio secolare o come colui che ha salvato la città dei suoi zar.
marcello.foa@ilgiornale.it

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