Sarah Langan e l'odio della porta accanto

La scrittrice Sarah Langan è nata nel Maine nel 1974. Ha ottenuto per tre volte il premio Bram Stoker. "I buoni vicini" è il suo secondo romanzo edito in Italiano, dopo "Virus".

Un quartiere residenziale americano dove le relazioni non sono pericolose ma sull'orlo di una voragine sociale. Nel nuovo romanzo di Sarah Langan, I buoni vicini (SEM), sono i rapporti tra media e alta borghesia a essere travolti da un evento tragico.

In Italia l'autrice è stata paragonata a Stephen King e a Shirley Jackson: niente di più lontano, almeno in questo romanzo che rischia di essere relegato fra i thriller e sarebbe un peccato, perché è una raffinatissima radiografia della società americana contemporanea. Si sente una lontana influenza del King di Carrie, ma qui siamo dalle parti del surrealismo di Kelly Link e del realismo analitico dello Stephen Amidon di Il capitale umano o di Security e del Revolutionary Road di Richard Yates. Il romanzo è ambientato a Maple Street, un quartiere da cartolina alla periferia di Long Island: una di quelle isole protette descritte da James Salter, da Harlan Coben e anche in romanzi e racconti di James Ballard e Ray Bradbury. «I residenti di Maple Street si vestivano business casual. Avevano impieghi affidabili che raggiungevano a bordo di auto affidabili. Erano sempre di fretta, anche se dovevano andare solo al supermercato o in chiesa. E riversavano il loro senso di inquietudine, insieme a ogni altra cosa, sui figli». Maple Street in apparenza è un luogo sicuro dove le famiglie si occupano dei loro figli destinati ad Harvard, dove nessuno si preoccupa del mutuo o delle rate della macchina e tutti vanno splendidamente d'accordo. Ma qualcosa di oscuro e malvagio si nasconde dietro i cocktail, le belle macchine e i sorrisi brillanti. A fare da crepa è l'arrivo dei Wilde, perché loro non si adattano, «sanno di non appartenere». Capiscono che stanno costantemente «infrangendo regole tacite», ma non sanno quali siano queste regole: «erano passeggeri, cavalcando lo slancio di qualcosa di più grande di loro». Mentre gli Stati Uniti delle cronache che arrivano a noi mostrano le rivolte dei neri, le proteste dei gruppi più radicali, l'ombra del suprematismo, Sarah Langan ci racconta qualcosa di veramente nuovo, in narrativa. Non c'è razzismo in questo romanzo, ma qualcosa che non era affrontato da anni - se non appunto dallo Stephen Amidon del Capitale umano - ovvero la lotta di classe. Quella tra alta e media borghesia, che è la più feroce, ancor più di quella tra ricchi e poveri. Perché è proprio in questa nuova lotta sociale che si annidano inesauribili astuzie, ripicche e contrasti che ritraggono la classe borghese americana ridotta al bambinesco, alla farsa, alla recita di un quotidiano superfluo che sembra diventare il centro di ogni vita.

Sarah Langan distrugge la patina lucida dei sobborghi borghesi statunitensi con più forza di un Raymond Carver: se la sua America oggi è superata - con una classe media che non esiste più - l'America di Sarah Langan fotografa nuovi contrasti sociali che sono destinati a rimanere anche nei prossimi decenni.

Forse è per questo, più che per i cambiamenti climatici raccontati, che la scrittrice ambienta il romanzo in un futuro prossimo, tanto vicino quanto non lo sono i protagonisti di un romanzo dove noi non siamo soltanto lettori, ma ci ritroviamo protagonisti. Perché la meschinità, la viltà, l'essere pavidi, l'essere mai colpevoli riguarda ormai tutti quanti noi.

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